Dalla patente di Rosario Chiarchiaro a quelle che attribuiamo senza neanche pensarci troppo
Al giorno d’oggi siamo abituati ad attribuire delle “etichette” alle persone per svariati motivi: per il carattere, per l’aspetto fisico o per le abitudini. Questa consuetudine non appartiene solo a questo secolo, ma anche in passato la si aveva. Ciò si può dedurre da molti fatti, in particolare dal testo di Luigi Pirandello “La patente”. Questo testo narra la vicenda di Rosario Chiarchiaro, un padre di famiglia che viene cacciato dall’impiego perché accusato ingiustamente di portare disgrazie, di essere uno iettatore. Il protagonista cade in preda alla disperazione, dato che la società lo esclude. Dal momento che ha bisogno sostenersi, decide di farsi attribuire la patente di iettatore, con tanto di bollo legale, in modo che possa mettersi davanti alle fabbriche, alle botteghe, e farsi pagare una tassa affinché vada via e questo gli permetterà di guadagnarsi da vivere. Il protagonista cerca quindi di “sfruttare” a proprio vantaggio la fama di iettatore che gli hanno cucito addosso. Anticamente in Sicilia era abbastanza frequente l’abitudine di dare “nomignoli” che andavano ad identificare una persona, ma, a differenza di quello del protagonista del testo di Pirandello, questi non erano offensivi, non volevano danneggiare. Dopo aver letto la novella e il rispettivo copione teatrale e averli analizzati e confrontati, ci siamo posti una domanda: ci succede di attribuire” patenti” a qualcuno, quasi come una sorta di bollo? Io credo che oggi diamo dei soprannomi, ad esempio a dei compagni, ma sono intesi in modo diverso, non sono più rivolti a rovinare o a stravolgere la reputazione altrui, ma lo facciamo per scherzare. Certo, potremmo chiederci: siamo sicuri che quel nomignolo, dato per scherzo, non faccia star male quel compagno? E allargando il discorso: siamo sicuri che non ci viene a volte spontaneo dare la “patente” di straniero a un ragazzo dalla pelle nera anche se da anni vive a Modica, guardandolo sempre con una certa diffidenza? E questo potrebbe accadere anche con i disabili: li consideriamo comunque diversi, ma di una diversità che distingue non che unisce.