Naufrago della Open Arms per la prima volta in aula a Palermo
Per la sua prima apparizione in aula, al processo Open Arms, Musa, uno dei 147 naufraghi soccorsi dalla ong spagnola, ha scelto la discussione delle parti civili. Il ragazzo, che nel 2019 era ancora minorenne, è venuto accompagnato dal suo legale, l'avvocato, Serena Romano.
Nessuno degli altri 146 naufraghi ha mai partecipato alle udienze del processo, dove Matteo Salvini è imputato di sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio e per il quale il pm ha chiesto 6 anni di carcere. Musa si è concesso ai cronisti mentre prosegue l'udienza con la discussione delle parti civili. L'avvocata Romano, parlando davanti alla Corte, ha raccontato la storia del giovane africano. "Al tempo Musa aveva 15 anni, viaggiava solo, senza familiari, su una barca piccolissima di legno, di 12 metri per 2 di larghezza, con 55 persone sopra - ha detto Romano - Il motore dell'imbarcazione era in avaria. Questa barca imbarcava acqua, era inclinata sul davanti: come abbiamo avuto modo di vedere nelle udienze precedenti si trattava di una barca a rischio altissimo di ribaltamento sulla quale oltre a Musa viaggiavano 20 minori tra cui 2 neonati e due donne in gravidanza. Il ragazzo ha lasciato il paese a 12 anni, è arrivato in Libia con suo zio, che è poi venuto a mancare. La tutrice ci ha detto che le sue condizioni non erano buone: aveva cicatrici in tutto il corpo. È stato ripetutamente colpito con bastoni sulla pianta dei piedi fino a rompergli le ossa". "Una volta arrivato, Musa voleva giocare a calcio, ma le fratture fatte nei campi di concentramento libici glielo impedivano - ha proseguito il legale - Ha cicatrici sulle mani dovute all'applicazione degli elettrodi, si è trovato in una stanza, a sentire le urla per la tortura sapendo che poi sarebbe toccato a lui. Ha vissuto per tre anni in Libia in queste condizioni. Una volta soccorso dall'ong Open Arms, Musa ha trascorso 17 giorni a bordo della Open Arms prima di poter sbarcare per decisione del Tribunale dei minori; 17 giorni che sono stati un inferno, senza possibilità di avere un supporto psicologico, senza poter provvedere a cure mediche o all'igiene personale. Oggi Musa ha terrore del mare: perché ha rischiato di morire. È stato costretto dalle decisioni dell'imputato a restare 17 giorni, ingiustificati, in mare con la paura diessere riportato in Libia".