Palermo, "Quello di Fragalà fu omicidio di mafia", sei arresti
C'è Cosa nostra dietro all'omicidio dell'avvocato Enzo Fragalà, ex parlamentare di An e del Pdl. Dopo sette anni dal delitto e una prima archiviazione dell'indagine, arriva a una svolta l'inchiesta sul brutale assassinio del legale. Ucciso, sostengono la Procura di Palermo e il gip, perché la mafia non gradiva che il penalista tentasse di convincere i suoi assistiti ad aperture verso gli inquirenti. Come quando spinse Vincenzo Marchese, prestanome del boss Nino Rotolo, ad ammettere le sue responsabilità aggravando indirettamente la posizione del padrino. Sei gli arrestati, tutti esponenti di spicco o uomini al servizio del clan del Borgo Vecchio. Minuziosa la ricostruzione fatta dai carabinieri. Un lavoro che muove dall'indagine archiviata che aveva già individuato alcuni dei personaggi coinvolti. Ma le prove raccolte allora non furono ritenute sufficienti e poco convincente si mostrò anche il movente legato a presunte avances che il legale avrebbe fatto alla moglie di un mafioso. A raccontarlo fu la compagna del boss Gaspare Parisi, Monica Vitale. Probabilmente, dicono gli inquirenti, si trattò di una versione messa in giro all'interno di Cosa nostra per sviare le indagini. A dare una svolta al caso è stato un pentito: Francesco Chiarello che ha indicato i nomi e i ruoli delle persone coinvolte. Le sue parole che riferiscono particolari appresi direttamente dagli organizzatori dell'agguato sono state riscontrate da una serie di intercettazioni. Fragalà, già nell'elenco dei nemici di Cosa nostra negli anni '90, quando la mafia si scagliò contro i penalisti che non erano riusciti a garantire gli uomini d'onore, fu ammazzato su ordine dell'ex capomandamento di Porta Nuova Gregorio di Giovanni (a suo carico però non è stato emesso alcun provvedimento perché non ci sono riscontri ulteriori alle dichiarazioni del pentito). Ruolo di promotore ebbe anche il boss Francesco Arcuri, mentre Antonino Siragusa, Salvatore Ingrassia e Antonino Abbate si occuparono della fase logistica e di copertura dei killer. Ad ammazzare Fragalà, assassinato a colpi di mazza a pochi metri dal suo studio, furono Paolo Cocco e Francesco Castronovo, picciotti al soldo del clan, esperti in pestaggi e danneggiamenti, mai coinvolti nell'inchiesta. Quest'ultimo amico di Chiarello, che ha cercato di tenerlo fuori dall'indagine fino alla fine, entra nel racconto del pentito solo in una seconda fase. Il collaboratore, che non ha partecipato all'agguato, racconta che andò a casa sua sporco di sangue dopo l'omicidio. In trenta secondi i due killer massacrarono di botte il penalista che morì il 26 febbraio del 2010 dopo tre giorni di coma. "I colpi di mazza ci i fici fieteri" (i colpi di bastone glieli ho fatti sentire ndr), racconta intercettato uno degli assassini. A confermare le parole del pentito sono stati gli stessi indagati. Cocco, non sapendo di essere intercettato, dopo la notizia del pentimento di Chiarello dice alla moglie "può essere che mi vengano a cercare per il fatto dell'omicidio". La donna non sa del suo coinvolgimento e incredula gli fa giurare sulla testa del figlio che non sta scherzando. Sempre Cocco rassicura il boss Domenico Tantillo, dopo la scoperta di una microspia, di non aver mai parlato del fatto a casa. Una confessione in diretta quella di Cocco che si aggiunge alle intercettazioni delle conversazioni in cui Castronovo si dice contento per aver "scansato" l'indagine. A confermare la pista mafiosa anche i boss Giuseppe e Giovanni Di Giacomo che, in carcere, durante un colloquio, dicono chiaramente che dietro al delitto c'è il clan del Borgo Vecchio che ricade nel loro mandamento, Porta Nuova. I mafiosi volevano dare una lezione a Fragalà e a tutta la classe forense. Volevano fosse un segnale chiaro tanto che dice uno degli organizzatori non deve sembrare una rapina. "Non ci toccate i soldi né gli oggetti, deve capire che non deve parlare", dice. Ma l'aggressione si trasforma in omicidio. E la Procura contesta infatti l'omicidio.