La relazione sullo scioglimento del Consiglio
"Metodo Blandino", ecco come la mafia operava ad Augusta
Connessioni e legami tra poteri forti e politica: questo è quanto emerge dalla relazione sullo scioglimento del Comune di Augusta, un documento di 300 pagine che disegna lo scheletro del malaffare nella ridente cittadina della provincia “babba”. Erano le rapine, i furti, le estorsioni, la droga ed il gioco d'azzardo le principali fonti di guadagno del mercato illecito megarese. Il sistema a rete creato appositamente per delinquere era, inoltre, strettamente correlato ad un’area lavorativa di cui il malaffare vantava il controllo: la gestione del settore edile, infatti, dava sostentamento alla mafia locale tramite ditte, aziende ed attività che consentivano la costruzione di pilastri su cui forgiare robusti edifici di affari redditizi. Il provento che ne derivava veniva reinvestito ai fini d'impresa o contribuiva al mantenimento della casta mafiosa che ne godeva liberamente tramite l’intestazione di beni a congiunti, ad amici o a familiari. L'attività estorsiva, ad esempio, prevedeva un preciso piano denominato "metodo Blandino", dal nome del noto collaboratore di giustizia, rispetto al quale le vittime mostravano una forte accondiscendenza. Per comprendere ancor meglio il funzionamento di tale sistema riportiamo le dichiarazioni di Giuseppe Crisafulli, killer legato al clan Nardo, rilasciate in occasione del Processo Tauro*: "Avevamo deciso con Carmelo Caramagno* di fare dei bigliettini, ogni negozio scrivemmo la cifra "Tu devi pagare 50milioni se no ti salta il locale, ti ammazziamo un figlio" e Blandino preparò per lui tutti questi bigliettini, li mettemmo dentro la busta, una trentina-quarantina di queste buste, e li mettemmo a tutti i negozi di Augusta".
E per condurre il lettore in direzione di un più ampio e pragmatico approccio rispetto a quanto espresso finora riportiamo la vicenda riguardante la tentata estorsione ai danni Francesco Tringali, titolare di un’azienda di ferramenta e utensileria della città. La potenziale vittima era stata contattata telefonicamente dagli aguzzini e, poiché l'imprenditore non si era mostrato disponibile al versamento richiesto, era divenuto mira di numerose azioni intimidatorie: dalle chiamate minatorie erano passati, infatti, all'esplosione di un ordigno nei pressi dell'abitazione della vittima e, poi ancora, al rilascio di lettere contenenti i riferimenti espliciti delle conseguenze che la mancata acquiescenza da parte del destinatario avrebbero avuto. L’epilogo della vicenda costringerà la mafia locale ad abbandonare il caso per conflitti d’interessi con il clan etneo dei Santapaola.