Viaggio nell'universo
Partenza per VENERE (1^puntata)
ORE 09:09 AM, WASHINGTON DC.
Ed eccoci insieme, qui, tutti e cinque pronti per l’appello: siamo ansiosi, anche troppo, e pure un po’ pietrificati; io sinceramente non ce la faccio a muovermi, ma penso che neanche i miei compagni ce la facciano. Ah scusate non mi sono presentata: mi chiamo Samia Cristoforetti prima donna italiana a essere andata nello spazio…sono emozionata, felice e anche un po’ impaurita, ma penso che questo sia il minimo per una donna che deve, fra qualche minuto, essere caricata su una navicella insieme ad altri quattro colleghi e sbalzata fuori dalla Terra.
Sentiamo i nostri nomi: - Samia Cristoforetti, Milix Cheli, Francesco Parmitano, Alberto Guidoni, Nicola Malerba- ODDIO CHE EMOZIONE!
Ci dicono di salire sul velivolo spaziale e noi lo facciamo, ma con attenzione e seguendo le procedure di sicurezza che avevamo studiato per tutto il tempo, cioè:
- salire la scala ed entrare nel vano della navicella, delicatamente, in modo da disporsi nel posto prima assegnatoci;
- allacciare le cinture e stringerle a se in modo da rimanere con la schiena perfettamente appoggiata al sedile;
- Mai premere il bottone rosso se prima non è stata data l’autorizzazione di farlo.
Sentiamo il portellone chiudersi, controlliamo che siamo tutti in cabina e sentiamo la voce del comandante che dice: - The red button can be pressed- e… PAMM, sentiamo il rumore del bottone che Parmitano ha schiacciato. I motori si accendono, fanno un gran rumore e…3, 2, 1… si parte.
All’interno è tutto rosso e pauroso, ma nessuno fiata; dagli oblò riesco a vedere qualcosa: ma è solo tutto buio lì fuori.
A un certo punto le nostre cinture si staccano, un attimo di tensione e… iniziamo a galleggiare: capisco che siamo già usciti dall’orbita terrestre.
Un bel po’ di ore sono passate e ci arriva l’avviso che stiamo per entrare nella traiettoria di Venere, qualche minuto e sentiamo un gran botto, capiamo che stiamo per atterrare sul pianeta. Chiudiamo le tute fatte in plastica e polietilene per resistere alla corrosione dell’acido solforico presente nell’atmosfera (formata dal 96,5% di CO2 e dal 3,5% di N2). Vedo qualcosa…sì, riesco a vedere la superficie: il pianeta è bellissimo, il suo colore varia dall’arancio al rosso al marrone e ha anche delle striature biancastre ed è LUMINOSISSIMO!
a mano a mano ci stiamo avvicinando e…siamo atterrati!
Il portellone si apre è la luce ci abbaglia, iniziamo a scendere uno per uno e sentiamo il caldo afoso: 476 gradi centigradi per l’esattezza.
Provo un’emozione incredibile perché questa è la mia prima vera esperienza spaziale su un pianeta ed essere proprio io, una fra tante, ad andare su un altro “mondo” mi rende la persona più felice del mondo. I miei colleghi sono anche emozionati come me ma alcuni non tanto perché non è la prima volta che lo fanno, diciamo che sono un po’ gli esperti.
Scesi tutti dalla nostra navicella ci dirigiamo verso un cratere, qualcuno inciampa per il terreno roccioso, ma ce la facciamo ad arrivare tutti insieme al cratere e preleviamo un campione di polvere. Lo portiamo in nave e lo inseriamo in una valigetta imbottita.
Sono passate già quasi venti ore dall’inizio del viaggio e siamo tutti un po’ stanchi, allora decidiamo di farci un pisolino; facile a dirlo e difficile a farlo poiché su Venere la notte non esiste.
Venere è il secondo oggetto naturale più luminoso dopo la Luna ed è anche il secondo pianeta più vicino al sole, per non mancare la temperatura è mantenuta anche di notte perché essa è trattenuta dall’anidride carbonica presente nell’atmosfera.
Sarà stato difficile, ma ce l’abbiamo fatta…siamo riusciti a dormire e ora, dopo questo bel pisolino, dobbiamo uscire per raccogliere l’ultimo campione, cioè un pezzo di roccia.
Scendiamo tutti dal velivolo, io sono l’ultima a scendere e mi tocca chiudere il portellone: ah che fatica per farlo…ci vuole una forza!
Dopo avercela fatta ed essermi messa in fila con gli altri, arriviamo in una zona del terreno in cui esso è più friabile; Milix esce dalla sua valigetta in titanio il trapano, che sarebbe servito per staccare un pezzo di roccia. Siamo quasi alla fine dell’opera, tutti felici e sereni poiché sapevamo che saremo ritornati a casa, che a un certo punto una vite per l’esattezza quella vicino alla punta, si toglie e per la pressione con qui esce va a bucare la tuta del collega Cheli!
Tutti siamo in un momento di panico perché sapevamo che se una tuta, di chiunque, si fosse bucata ci sarebbe stato il rischio di morte perché l’acido presente nell’aria avrebbe corroso la pelle e di conseguenza gli organi interni. Tutti solleviamo, chi per i piedi e chi per le mani, il nostro caro Milix con una speranza in noi di poterlo salvare, lui era già svenuto!
Arriviamo alla navicella e Alberto apre con forza il portello, tutti di fretta saliamo la scaletta e sdraiamo Milix su tre sedili. Prendiamo un po’ di imbottitura della valigetta in cui era stato posizionato il campione prelevato da cratere e un pezzo di plastica di una bottiglietta d’acqua; cuciamo e sigilliamo tutto prima con un filo e poi col nastro adesivo: Cheli è sigillato nella sua tuta e risolto questo problema iniziamo a fargli il massaggio cardiaco…si è svegliato!! Non si ricorda niente; ma ora sta bene.
Sono contenta che ce l’abbiamo fatta e che siamo riusciti a salvarlo, dopo tutto è un nostro collega. Rimane solo un problema: come facciamo a prendere il campione di roccia…ed ecco il nostro eroe, Nicola era riuscito anche a prendere un pezzo di roccia oltre che a portare il “ferito” alla base.
Siamo contenti e brindiamo alla fine della missione…gridiamo un gran “SI” e ci battiamo tutti il cinque.
SIAMO PRONTI PER IL PROSSIMO PIANETA!