L’invenzione della carretta
Capitolo 2
Come si vive la vita in Formikalandia in un giorno qualsiasi della settimana o dell’anno
Alla Corte di «Formikalandia», il reuccio Fortunato ha traslocato i suoi mobili nuovi e sontuosi nella sua reggia rimessa a nuovo.
Tutto l’arredo vecchio stravecchio fu cacciato alla rinfusa nella soffitta povera arcipovera del maniero: letti, materassi, stoviglie, ceramiche e maioliche; lucerne, ceste, mobili, gli scrigni colle mappe delle isole sul Mar dei Caraibi; i cannoni e le spingarde.
Tosto i maggiordomi spalancarono all’aria rinnovatrice le finestre del maniero.
Infatti l’aria nelle stanze sorde e fredde e buie, ― immemori di scope, spazzole e ramazze ― era stantia, perché esse erano rimaste chiuse, infatti nessuno dei maggiordomi del servitorame domestico ― un esercito di buoni leccapiatti, ― aveva più dischiuso i battenti di quelle topaie che erano piene di Belle Addormentate col cloroformio od i narcotici.
― Ssssttt! Silenzio! vi preghiamo di non disturbarle: soffrono di stress le poverine anche loro. Tosto il signor Vento, ― un po’ brontolone, ― pervase i cunicoli sottoterra come d’un Orco che stava inseguendo Pollicino o singhiozzava piangendo i suoi Stivali dalle Sette Leghe. Difatti, le folate che zufolavano villanamente alle orecchie dei maghi e dei cortigiani, cozzavano per i cunicoli della Corte di FormiKalandia; ululavano lungo le scale interminabili delle torri del castello sottoterra; sibilavano attraverso i corridoi; muggivano come cento buoi e scappavano all’ultimo per le fessure delle porte sconnesse e cigolanti sui cardini arrugginiti, da milioni e milioni di anni.
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― Il vento in casa! Il vento in casa! ― le maghe e gl’inservienti si passarono la voce tra di loro, ― Il vento in casa! ― gridarono le Damigelle che pettinavano la Reginetta.
― Per favore, chiudete le finestre! ― esclamava il Reuccio Fortunato nella sua zimarra ed in pantofole col naso che gli gocciolava come il rubinetto di una fontana rotta, perché gli spifferoni di freddo lo avevan fatto raffreddare assai. E dài, giù! due o tre starnuti:
― Etcì, etci-i-ì-ì! Etciù, etci-i-ì-ì! per favore, chiudete le finestre! lo volete capire, sì o no!? ― il suo naso pareva una trombetta.
― Capito, dissero le damigelle di corte della Reginetta. Allora esse, a fronte alta, sfilarono dietro alla Reginetta sorreggendo ai lati un chilometrico baldacchino tutto ricucito con dei drappi di color rosso e lo stemma reale filigranato in oro e le nappine pure in oro, oro zecchino.
Una parola! Adesso, in fila indiana per cinque, le formike procedettero in fila indiana per andare a chiedere a ‘Gna Pippina ‘A Lagnusa, di avere in prestito gli ombrellini delle sue figlie:
― Sì, certo che no! Ma, scusate la domanda, a che vi servono?
― Niente, niente signora, cerchi di capire! soltanto dobbiamo riparare i chicchi e le granaglie dagli acquazzoni torrenziali con certi fulmini e certi tuoni,… ― risposero in coro le saputelle che si erano appostate vicino al frigorifero pieno zeppo di ghiottonerie in cucina.
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― Il vento in casa! ― ripeté con voce nasale il Paggio di Corte.
Per l’ennesima volta il reuccio bisbetico strapazzò a dovere il paggetto dei suoi stivali, neanche quello fosse un uovo strapazzato al tegamino:
― Siete dei fannulloni buoni a nulla, ecco che cosa siete. Chiudete le finestre! Sì o no!?
Ora dovete sapere che alla Reginetta, per esempio, piaceva prendere l’aria fuori dal formikaio. O giusto Cielo, era proprio una bella festa. Ed era proprio una bella giornata! Tornavano le viole ai prati, a primavera. Nelle aiuole esse facevano capolino con i loro petali lungo le siepi.
Dal pettinino magico della Reginetta usciva quella gran capigliatura, abbondante nella massa nera della sua lunghissima trecciona. I sudditi di Sua Maestà issarono su, su, su la specchiera nuova fiammante dal balcone del Castello stravecchio per mezzo della sua trecciona lunga arcilunga, perché la fune attorno alla specchiera rococò era fatta tutta delle trame dei suoi capelli.
Per questo motivo la Reginetta protesa dal balcone: ― Oh issa! Oh issa! ― si fece aiutare dalle amiche perché il suo pettine fatato era così prodigioso! Per colmo di sfortuna però, la specchiera era un po’ pesantuccia. Quand’ecco, la specchiera rococò, cadendo, ahimè! ruppe in mille cocci i bicchieri pieni di zabaione e di gelati in cristallo di Murano d’inestimabile valore; ed inoltre, i quadri dei grandi maestri di pittura. Sennonché le formike con un bel ruzzolone dalla scala caddero nei granai del formikaio, coperto tutto di bande di color nero corvino della Reginetta; e furono ben presto sommersi dal mare color nero corvino dei capelli della Reginetta perché, giustappunto, la treccia della sovrana giungeva fino all’entrata del cunicolo del formikaio, tanto essa era lunga arcilunga.
In breve le finestre del formikaio furono rinchiuse dagli ombrellini colorati delle figlie della ‘Gna Pippina. Le formike scacciarono il nemico il signor Vento, pregando il Cielo che il ventaccio non desse più fastidio a chicchessia. Poi ognuna di esse tornò chi a tagliar le rape, chi a condire di spezie i polli infilzati allo spiedo, chi a spennare l’oca la pàpera che starnazzava da servire in brodo alla mensa del Re Fortunato; chi nelle stalle a strigliare i cavalli e chi a fare la guardia sulle torri inaccessibili del castello.
Il reuccio bisbetico non starnutì più col naso come un rubinetto guasto, anche se l’ho visto ieri seduto sul suo trono che aveva il termometro col febbrone da cavallo, a quaranta.
E, soprattutto, coi suoi cortigiani non strepitava più: « Per favore, chiudete le finestre! ».
― Meno male!