EDITORIALE. La Guerra, le donne iraniane e la povertà: quello che ci aspetta nel 2023
“La guerra in Ucraina potrebbe avere una svolta in direzione della pace solo a febbraio, ad un anno dalla invasione delle forze armate della Russia”.
E’ una delle notizie di questi giorni, insieme a quelle sui 400 bambini uccisi da missili e bombe poco “intelligenti” o, semplicemente, assassini, caduti sulle città Ucraine. Ed è triste che per parlare di pace si debba aspettare un anniversario triste e funesto come quello di una invasione militare. Strana coincidenza, a cavallo di due anni tra sconforto e speranza.
Amarezza e orrore per un’altra guerra: forse ideologica, forse religiosa, sicuramente insensata. In Iran ragazze incarcerate perché non indossano il velo o non lo indossano correttamente; ragazzi condannati a morte perché chiedono libertà e democrazia; la polizia che spara ad altezza d’uomo e uccide bambini inermi. Solidarietà al popolo iraniano e condanna del regime non bastano a fermare un’altra follia del nostro tempo e a fare riemergere dal buio delle menti un barlume di speranza che possa autorizzare un po' di ottimismo per il nuovo anno.
Speranza, sì. Quella che nutriamo tutti, non per abolire la povertà – come qualcuno frettolosamente aveva gridato ai quattro venti – ma per offrire una vita dignitosa a chi non trova lavoro; a chi lavora in nero; a chi sogna una casa; a chi approda sulle nostre spiagge per afferrare un pezzo di futuro; a chi, dopo anni di fatiche, non riesce a mettere insieme il pranzo e la cena o a pagare la bolletta della luce.
Speranza, sì. Per dire basta alle promesse impastate di iprocrisia e di illusioni, nutrite dai bisogni di troppa gente.
Speranza, sì. Come quella di tanti giovani che vorrebbero rimanere nella loro terra invece di andare a cercare lavoro all’estero.
Malgrado tutto, vogliamo credere ancora nella speranza. Ma, soprattutto, nella forza di volontà delle nuove generazioni.
E, allora, malgrado tutto, BUON ANNO.