Caltanissetta, mori suicida in carcere: per i familiari no archiviazione
La famiglia di Giuseppe Di Blasi, morto suicida in carcere nel 2011 a seguito di una condanna in primo grado a 17 anni per violenza sessuale, si è opposta, assistita dall'avvocato Massimiliano Bellini, a una nuova richiesta di archiviazione del caso da parte del pm di Caltanissetta Dario Bonanno. Per i familiari le responsabilità da parte dell'istituzione carceraria ci furono, visto che l'uomo aveva già tentato il suicidio quattro volte e in un solo anno aveva perso 34 chili. "Come scritto dal gip di Messina - dice il legale della famiglia, Massimiliano Bellini - la Procura di Caltanissetta deve indagare su tutta la gestione del detenuto e per questo ci opponiamo alla richiesta di archiviazione e andremo avanti". I fatti risalgono a otto anni fa. Di Blasi, che si era sempre dichiarato innocente, decise di farla finita poco dopo Natale. Erano le 16 del 27 dicembre 2011. "Se il personale medico delle strutture carcerarie avesse ben compreso la gravità dei sintomi di lampante malessere di nostro fratello - scrivono i familiari - con molta probabilità, si sarebbe salvato. Vane e inutili sono state le innumerevoli istanze di scarcerazione presentate dal nostro legale, le perizie mediche redatte dai nostri consulenti medici di parte volte a segnalare all'attenzione delle autorità giudicanti la palese incompatibilità dello stato di salute di nostro fratello con il regime carcerario". Per la famiglia Di Blasi deve ancora essere accertato se siano state violate o disattese le norme che garantiscono diritti fondamentali ed inviolabili ad ogni persona privata della libertà personale e se tutti i soggetti tenuti per legge a vigilare sulle condizioni psico-fisiche del detenuto abbiano fatto il proprio dovere. Secondo la ricostruzione dei familiari e del loro legale infatti, nonostante i quattro tentativi di suicidio, l'uomo non veniva sorvegliato a vista.