Mafia, 32 anni fa nell' Agrigentino l'omicidio del giudice Livatino
Un martire della giustizia. Magistrato probo, coraggioso, spinto dai grandi valori trasmessi dalla famiglia, ligio alla rettitudine e sorretto da una fede profondissima, capace, secondo le carte raccolte nel processo di
beatificazione, di avere compiuto dopo la morte due miracoli. La vita di Rosario Livatino - ucciso 32 anni fa dalla mafia nelle campagne di Agrigento, definito giudice 'ragazzino' per la sua giovane eta' e per il coraggio misto ad una esperienza davvero nusuale a dispetto dell'eta' - e' stata e rimane ancora una testimonianza di impegno civico, di aderenza ai valori della Costituzione, di profondo amore verso la legalita'. Una carriera fulminante la sua. Cresciuto in una Canicatti' intorbidita dagli interessi mafiosi, nel 1975, a 23 anni si laurea in Giurisprudenza a Palermo. Tre anni dopo il suo ingresso in magistratura: prima tappa Caltanissetta, poi Agrigento. Proprio li', oggi una stele, attorniata dalle erbacce e isolata rispetto al nuovo tracciato della Caltanissetta-Agrigento, ne ricorda il sacrificio. Dell'omicidio fu testimone Pietro Nava, un imprenditore lombardo
rappresentante di porte blindate. Le sue dichiarazioni, affidate ai magistrati che indagarono sulla morte del giudice, si rivelarono utilissime per chiudere il cerchio attorno ai killer, che furono arrestati. Uno di essi, Gaetano Puzzangaro, 'picciotto' della famiglia di Palma di Montechiaro, dopo essersi pentito e convertito, in questi anni ha dato un contributo importante alla causa di beatificazione di Livatino. Processo di beatificazione avviato nella sua fase diocesana nel 2011 a firma dell'arcivescovo di Agrigento Francesco Montenegro e che si e' concluso nel 2018 con l'invio di quattromila pagine, tra testimonianze e ricostruzioni, alla Congregazione delle cause dei Santi. Tra i miracoli attribuiti a Livatino due prodigi che sarebbero avvenuti con la sua intercessione su due donne, entrambe colpite dalla leucemia e successivamente guarite.