Mafia, sequestrato a Messina il patrimonio di un imprenditore
L'ingente patrimonio di un imprenditore attivo nel settore della macellazione e commercializzazione del pellame, e' stato sequestrato dalla Dia di Messina, supportata dal Centro Operativo di Catania. Il provvedimento e' stato disposto dalla Sezione Misure di prevenzione di Messina su proposta del direttore della Dia, il generale di divisione Giuseppe Governale, in piena sinergia con la Direzione distrettuale antimafia di Messina, guidata da Maurizio De Lucia. Apposti i sigilli a due imprese riconducibili a Nunzio Ruggieri, a una quota pari al 20% del Fondo Consortile di un Consorzio, a 20 unita' immobiliari (fabbricati e terreni); a 23 mezzi personali ed aziendali; a vari rapporti finanziari, anche intestati a soggetti terzi individuati, per un valore complessivo di 9 milioni di euro. Nunzio Ruggieri, imprenditore di Naso, spiegano i finanzieri, e' stato menzionato dal collaboratore di giustizia Santo Lenzo - legato ai gruppi mafiosi dei Nebrodi - per alcuni collegamenti con elementi di vertice della criminalita' organizzata tortoriciana quali lo stesso Lenzo, Cesaro Bontempo Scavo e Carmelo Armenio. In particolare, da alcune dichiarazioni risalenti al 2002 del collaboratore, si evinceva che Ruggieri, nel 1999, tramite Armenio - referente della criminalita' organizzata sul territorio di Brolo - "aveva chiesto che fossero incendiati i mattatoi di Sinagra, Barcellona Pozzo di Gotto e Giammoro, impegnandosi, nel contempo, a versare 50 milioni di lire all'organizzazione mafiosa" che lo avrebbe verosimilmente favorito. L'intento criminoso non giunse a compimento "per l'opposizione dei rappresentanti della criminalita' organizzata barcellonese". La sua caratura criminale, riferibile a una prolungata attivita' usuraia, e' stata riaffermata con sentenza di condanna della Corte di Appello di Messina del 2005, divenuta irrevocabile nel 2009. La vicenda traeva origine dalle pressioni di Ruggieri Nunzio, negli anni 1998/2000, nei confronti di un dipendente di banca che aveva generato, all'istituto di credito presso cui era impiegato, un dissesto economico per circa 76 milioni di lire attraverso la negoziazione di tre assegni. Questi, nel tentativo di ripianare la situazione, attraverso alcune "amicizie", si era rivolto anche a Ruggieri al fine di ottenere alcuni prestiti rilevatisi, poi, di natura usuraia. L'imprenditore applicava tassi anche del 120%.