Inquinamento ambientale, sequestrato un depuratore nel Cosentino
Si chiama "Cloaca Maxima", l'operazione effettuata oggi dai carabinieri forestali di Cosenza, che hanno sequestrato il depuratore consortile "Valle Crati" di Rende (Cosenza). Accertate diverse pratiche illegali nella lavorazione dei reflui, che venivano scaricati nel fiume Crati. Molte le intercettazioni ambientali eseguite dai militari. Sei le misure cautelari interdittive emesse a carico di dirigenti e funzionari dell'impianto.
I particolari dell'operazione sono stati resi noti durante una conferenza stampa tenuta dal Procuratore della Repubblica, Mario Spagnuolo. Le misure cautelari riguardano gli operai dell'impianto, ai quali e' stato imposto l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, e il direttore dell'impianto, sottoposto a una misura interdittiva, per 12 mesi, di esercitare direzione tecnica di persone giuridiche e imprese. Tutti e sei dovranno rispondere di inquinamento ambientale per avere sversato liquami non depurati nel fiume Crati, che attraversa la citta' di Cosenza.
L'operazione e' frutto dell'attivita' investigativa del Nucleo Investigativo dei Carabinieri Forestali della citta' bruzia ed e' scaturita, nei mesi scorsi, da un esposto presentato alla locale procura della Repubblica e si e' avvalsa delle segnalazioni dei cittadini che abitano nella zona. Le indagini, condotte mediante intercettazioni telefoniche, avrebbero permesso di accertare che gli indagati, dipendenti della Geko Spa, societa' incaricata della gestione dell'impianto di depurazione, scaricavano illegalmente un ingente quantitativo di liquami direttamente nel fiume Crati. In particolare, gli operai, seguendo le indicazioni loro impartite, usando due bypass, uno generale in testa all'impianto e uno posto a monte della sezione ossidativa ossidativa, sversavano ripetutamente quantitativi di liquami, senza effettuare alcun tipo di trattamento depurativo. Lo sversamento ha provocato una compromissione e un deterioramento delle acque del fiume Crati e del relativo ecosistema, alterandone composizione chimica, fisica e batteriologica nonche' l'aspetto e l'odore. Durante alcuni controlli, gli stessi operatori dell'impianto avrebbero nascosto la modalita' illecita della gestione del depuratore, simulando il normale funzionamento della linea depurativa, per poi, una volta terminato il controllo, azionando il sistema illecito, ritornare a scaricare direttamente nel fiume consapevoli che alcune sostanze non fossero in linea con i valori tabellari previsti dalla normativa e falsificando, inoltre, gli esiti delle analisi inviate alla Provincia di Cosenza. Il livello di compromissione ambientale e' stato confermato dai dati dell'Arpacal, l'agenzia regionale per l'ambiente. L'impianto, dopo il sequestro, e' stato affidato ad un custode giudiziario, nominato dal Gip, il quale ha ricevuto incarico di gestirlo senza causare alcuna interruzione del servizio. "E' stata un'inchiesta molto lunga e complessa, passata attraverso molte analisi delle acque, che in un certo periodo hanno anche presentato della densa schiuma bianca, visto che i liquami non depurati non erano sottoposti a tutti i passaggi necessari e finivano nel fiume ancora non trattati" ha detto Marisa Manzini, procuratore aggiunto a Cosenza, del corso della conferenza stampa. I militari hanno girato 5873 ore di filmati e intercettato migliaia di telefonate. Sono 141 i casi di condotte illegali, rilevati in circa due mesi, che sono stati addebitati ai gestori dell'impianto.
"Sono emersi diversi tipi di condotte - ha detto il sostituto procuratore Giuseppe Cozzolino - in quanto si e' fatto ricorso massicciamente all'uso di alcuni canali di bypass che facevano confluire le acque nel fiume, in due modi diversi, ma anche i liquami depurati non erano a norma, visto che avevano un contenuto inquinante troppo alto. Possiamo dire che le acque del fiume Crati sono state sottoposte a forti alterazioni - ha detto ancora Cozzolino - e questo si evince dalle analisi e anche dagli odori che venivano emanati. Abbiamo quindi nascosto tutta una serie di videocamere, interne ed esterne all'impianto - ha concluso Cozzolino - che ci hanno fatto vedere quali fossero le condotte illecite poste in essere dagli indagati, che ripristinavano le condizioni ottimali dell'impianto solo in occasione dei controlli, poi tornavano alle condotte illegali. In questo modo ingannavano anche i tecnici dell'Arpacal".