Mafia, a 25 anni dalle stragi di Capaci e via D'Amelio restano tante ombre
La verità è una faticosa salita, una cima quasi invisibile, nascosta da nebbie solo parzialmente penetrate. Tra i misteri d'Italia non definitivamente risolti ci sono ancora, dopo 25 anni, le stragi di mafia del 1992, anche se nell'ultimo anno sono stati acquisiti importanti elementi di fatto. Il 27 luglio 2016 si e' chiuso il secondo processo su Capaci; il successivo 20 aprile, appena un mese fa, il quarto su via D'Amelio. Ma come hanno spiegato i magistrati restano ancora troppi buchi neri. Cosi' si e' parlato di nuove indagini e di nuovi processi. A Caltanissetta, 'porto giudiziario' dove approdano le risultanze investigative e processuali sui due eccidi, si e' recentemente aperto il procedimento a Matteo Messina Denaro, indicato come uno dei mandanti nella guerra dichiarata al Paese da Toto' Riina.
CAPACI, VERSO IL TERZO ATTO. A luglio dell'anno scorso la sentenza del 'Capaci bis' con 4 ergastoli e un'assoluzione: carcere a vita per Salvatore Madonia, Giorgio Pizzo, Cosimo Lo Nigro e Lorenzo Tinnirello, accusati di aver ricoperto un ruolo importante sia nella fase organizzativa sia nel reperimento dell'esplosivo utilizzato nella strage in cui morirono i giudici Giovanni Falcone e Francesca Morvillo e la scorta. Assolto Vittorio Tutino che resta in carcere. La Pm Lia Salva ha definito inevitabile un Capaci Ter, alla luce del ruolo del boss Matteo Messina Denaro - gia' condannato all'ergastolo per le stragi del Continente del '93 - e di altri tre indagati chiamati in causa dal collaboratore Cosimo D'Amato, il pescatore di Porticello che ha rivelato come l'esplosivo estratto dalle bombe ripescate in mare sia finito alla cosca di Brancaccio per essere utilizzato a Capaci. "Non risparmieremo energie per cercare ulteriori verita'", ha assicurato il procuratore Amedeo Bertone.
Importante, in ordine alla ricostruzione delle responsabilita' degli imputati riguardo alle fasi organizzative e di reperimento dell'esplosivo, certamente il ruolo dei pentiti, e segnatamente di Gaspare Spatuzza, ha detto il pubblico ministero Stefano Luciani. La stagione stragista, e' stato detto, "nasce dalla necessita' di Cosa nostra di fare la guerra per fare la pace. Fu in questo contesto che la mafia diede il via agli attentati in Sicilia e nel Continente".
PM, SU RUOLO SERVIZI SOLO MELODIA ORECCHIABILE. Nella fase dibattimentale, aveva detto il collega dell'accusa, "sono emerse dichiarazioni generiche sulla presenza di soggetti dei Servizi, indicati senza volto e senza nome. Fra l'altro nessuno sarebbe stato in grado di indicarne il ruolo". Lo scenario, ha affermato il Pm, "e' suggestivo perche' siamo in presenza di una melodia orecchiabile ma che non funziona. Queste dichiarazioni provengono da non palermitani, inseriti nei piani bassi di Cosa nostra. Nessun capo ha mai parlato di questi fatti. E' una costruzione improponibile". Per il magistrato "sono diversi gli scenari in cui e' maturata la strage di Capaci". Contesti che si intrecciano fra loro. "Cosa nostra era pronta a sedersi a tavola per mangiare con politici e imprenditori. Da qui, la paura che il giudice Falcone mettesse le mani sul rapporto mafia e appalti. E non dimentichiamo gli esiti del maxi processo. Era il suo lavoro che dava fastidio alla mafia per cui andava eliminato".
LARI: "INDAGINI PROSEGUONO ANCHE SU MANI ESTERNE". "Siamo convinti della fondatezza della nostra ricostruzione. Sin da subito abbiamo ottenuto le misure di custodia cautelare del Gip con l'accoglimento delle richieste di rinvio a giudizio. Il quadro accusatorio continua a reggere, confermato da numerose sentenze", dice il giorno dopo all'Agenzia Italia il procuratore generale di Caltanissetta Sergio Lari. Si continua a esplorare l'ipotesi di una 'mano' esterna a Cosa nostra, esclusa nel secondo processo sull'eccidio e che al momento, sottolinea Lari, "e' solo un'ipotesi priva di fondamento nata dall'impulso proveniente dalla Procura nazionale. Eravamo in presenza solo di indizi che abbiamo esplorato fino in fondo, ma che continueremo a esplorare", con l'avvertenza che "teorema o sensazioni non possono entrare in un'aula del Palazzo di giustizia". "Le indagini - conferma Lari - continuano su altri binari. Ci sono altri tasselli che vanno reperiti per completare il quadro".
"RIVELAZIONI FORMIDABILI DUE DECENNI DOPO". "Con il nuovo filone di indagini che abbiamo aperto e che ci ha portati a celebrare il secondo processo per la strage di Capaci - prosegue Lari - abbiamo individuato un mandante che era sfuggito nelle precedenti ricostruzioni giudiziarie e mi riferisco a Salvuccio Madonia, ma soprattutto abbiamo ricostruito tutta la fase legata al reperimento, da parte di Cosa nostra, dell'esplosivo. Tritolo utilizzato anche nelle altre stragi del '93 e che avrebbe consentito a Riina, con tutto l'esplosivo di cui disponeva, di fare la guerra allo Stato, come riferi' Giovanni Brusca riportando una frase del capomafia corleonese.
'individuazione della nuova "catena del tritolo" e' stata oggetto di indagini anche da parte della Procura di Firenze. Tutto cio', per Lari, "ha consentito di fare un ulteriore passo in avanti sulla ricostruzione delle fasi progettuali ed esecutivi della strage di Capaci. Sono stati necessari 24 anni, per aggiungere un altro tassello, perche' Cosa nostra ha agito per compartimenti stagni. Nessuno dei primi collaboratori di giustizia, faceva parte del mandamento di Brancaccio. Nel 2008 pero' ecco Gaspare Spatuzza, poi il pentimento di Fabio Tranchina e per ultimo quello di Cosimo D'Amato. Alle loro rivelazioni si sono aggiunti riscontri formidabili. Da li' nasce la scintilla".
VIA D'AMELIO, OLTRE IL "COLOSSALE DEPISTAGGIO". Un mese fa e' invece arrivata la sentenza del quarto processo sulla strage Borsellino: un punto fermo dopo depistaggi, falsi pentiti, ombre di mandanti esterni: iniziato il 22 marzo 2013, la Corte d'Assise di Caltanissetta, ha inflitto l'ergastolo a Salvuccio Madonia e Vittorio Tutino, entrambi accusati di strage. Dieci anni ai falsi pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci, chiamati a rispondere di calunnia per le false dichiarazioni rese all'inizio delle indagini. "Non doversi procedere" per Vincenzo Scarantino, per il quale e' stata richiamata la prescrizione, ma il capitolo resta aperto: la concessione dell'attenuante e' la conferma della tesi secondo cui e' stato indotto nel suo falso pentimento; Sara' compito della Procura dopo la trasmissione degli atti fare luce.
LUCIA E MANFREDI BORSELLINO, "STATO NOI TI ACCUSIAMO". "Se fosse vero quanto emerso fino a ora - aveva detto al processo la figlia del magistrato, Lucia - su eventuali manipolazioni da parte di uomini dello Stato, vorrebbe dire che mio padre e' stato ucciso due volte. Cio' che mi indigna sono i molti non ricordo portati qui da tanti uomini dello Stato". "Non dovevo essere io a cercare la verita' sulla morte di mio padre - ha incalzato Manfredi - c'erano altre persone demandate a farlo, ma non lo hanno fatto o lo hanno fatto malamente".
TRADIMENTI E TRATTATIVE. Un attentato micidiale eseguito dalla mafia, ma maturato in un clima di veleni anche fuori Cosa nostra; e segnato dalle inquietudini di Paolo Borsellino che si disse - sconvolto, incredulo e in lacrime - "tradito da un amico". Anche qui l'irruzione di Gaspare Spatuzza ha consentito di aprire una nuova stagione giudiziaria e sgretolato le certezze arrivate dai precedenti processi per l'attentato che avevano resistito a tre gradi di giudizio. Spatuzza si e' autoaccusato del furto della Fiat 126, utilizzata come autobomba. A decidere la strage di via d'Amelio, cosi' come quella di Capaci, e' stato Toto' Riina, in occasione degli auguri di Natale del 1991, nel corso di una riunione della Commissione provinciale.
A portare a compimento la strage di via d'Amelio, il mandamento di Brancaccio, considerato il filo conduttore della stagione stragista conclusasi nel continente. Ad azionare il telecomando il boss Giuseppe Graviano. Anche la sentenza del maxiprocesso, devastante per Cosa nostra, sarebbe una delle cause scatenanti. Cosa nostra aveva attivato tutti i canali istituzionali disponibili per arrivare all'aggiustamento finale della sentenza. Ma si era sentita abbandonata dai suoi referenti istituzionali. Altro fattore sarebbe quello secondo il quale Borsellino sarebbe stato a conoscenza dei contatti tra pezzi delle istituzioni e Cosa nostra e si sarebbe opposto.
BUCHI NERI, AGENDA ROSSA: INDAGINI CONTINUANO. La presenza di eventuali mandati esterni e il coinvolgimento dei servizi segreti rimane comunque al momento solo un'ipotesi investigativa, non provata, anche se c'e' l'ombra della presenza di Giovanni Aiello, "Faccia da mostro", misterioso poliziotto legato ai Servizi. Il procuratore Bertone ha avvertito che "ci sono ancora buchi neri". Il riferimento e' anche all'agenda rossa del giudice Borsellino, mai trovata, e alle indicazioni fornite in aula da un ufficiale dei carabinieri: "Elementi che pongono la necessita' di riaffrontare questo tema. Ci sono le prospettive per una ulteriore attivita' che dovra' essere svolta".