Processo Stato - mafia
Palermo, pentito in aula: "L'obbiettivo nel '93 - '94 erano i carabinieri"
Gli attentati contro i carabinieri compiuti in Calabria nel 1993 e nel 1994 dalla 'Ndrangheta sono al centro della deposizione del collaboratore Consolato Villani al processo sulla trattativa Stato-mafia che si sta svolgendo all'aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo. Il pentito, ex braccio destro del boss Nino Lo Giudice, ha detto di aver partecipato a quelle spedizioni: "Gli agguati ai carabinieri furono il mio battesimo del fuoco. Il primo a dicembre '93. Avevo un fucile a canne mozze ma a sparare fu Giuseppe Calabrò con un mitra M12. I carabinieri rimasero illesi e lui mi disse che bisognava riprovarci". L'attentato successivo fu nel gennaio 1994 sulla Salerno-Reggio Calabria. A bordo della gazzella vi erano gli appuntati Vincenzo Garofalo e Antonino Fava. I sicari affiancarono l'auto a pochi chilometri dallo svincolo di Scilla e fecero fuoco. "A sparare fu Calabrò - racconta ancora il pentito - questa volta per i carabinieri non ci fu niente da fare. Fui io a rivendicare l'azione con una telefonata. Dissi qualcosa tipo: questo è solo l'inizio. Me lo disse Calabrò e io eseguii gli ordini". Dopo quel duplice omicidio, ancora una volta i carabinieri vengono colpiti. "Li aspettiamo sulla statale - aggiunge Villani - Appena sbucò una pattuglia aprimmo il fuoco tutt'e due. I carabinieri rimasero gravemente feriti. Quando poi ho chiesto spiegazioni Calabrò mi disse che stavamo facendo come la banda della Uno bianca: attaccavamo lo Stato". "Mi disse che si dovevano colpire i carabinieri. Penso che Calabrò fosse gestito da qualcun altro. Non decideva lui questa cose - prosegue - Dovevamo colpire lo stato. So anche che quei carabinieri trasportavano dei documenti importanti, 'un plico' mi disse Calabrò. Ma non so di cosa si trattasse". "Pensavamo di fare altri attentati - spiega - ma poi mio padre fu arrestato e ci siamo dovuti fermare, stare più coperti".
"Per Nino Lo Giudice c'era qualche collegamento tra i nostri attentati e quelli fatti in Sicilia. Ma non mi spiegò chi gestiva questa cosa. In Sicilia c'era la strategia stragista e lui la voleva portare in Calabria. Il collegamento tra Riina e la Calabria era con il boss De Stefano. Prima, nel 1991, mi dissero che c'era stato un accordo tra i boss calabresi e Cosa nostra per uccidere il giudice Antonino Scopelliti. I calabresi lo avrebbero ucciso per conto di Cosa nostra". Lo sta raccontando il collaboratore Consolato Villani al processo sulla trattativa Stato-mafia. Per l'uccisione del magistrato ci furono due processi a Reggio Calabria: uno contro Salvatore Riina e sette boss della "Commissione" di Cosa Nostra e uno contro Bernardo Provenzano e altri sei boss, tra i quali Filippo Graviano e Nitto Santapaola. Furono tutti condannati in primo grado nel 1996 e nel 1998 e successivamente assolti in Corte d'appello nel 1998 e nel 2000.