Due anni dopo la scomparsa
Al Piccolo di Catania va in scena 'Il racconto dell'Ulivo' di Sammataro
Che per il teatro di Anton Cechov possa essere necessario se non addirittura urgente pensare ad uno stato d'animo siciliano, vicino al russo nel modo di esprimere gioia e dolore,- fu intuizione catturante e corposa di Giorgio Strehler. E questo sentire fu condiviso all'istante e su campo da Piero Sammataro, attore e regista che con Strehler percorse un significativo tratto di strada dei suoi magnifici, prolifici 50 anni di teatro . Egli stesso era stato, tra le altre cose, l'intenso, intrigante Trofimov a fianco di Valentina Cortese e Gianni Santuccio nella versione epocale del Giardino dei ciliegi che Strehler consegnava alla storia nel 1974. Da tutto questo è segnato 'Alla fine del tempo dell'ulivo', la pièce che Piero Sammataro scrisse sulle tracce del 'Giardino', ma in realtà prendeva le mosse innanzi tutto da una sua produzione nata assai prima, 'Il racconto dell'ulivo', ambientandolo nella Sicilia del primo dopoguerra. E proprio di 'Alla fine del tempo dell'ulivo' Sammataro aveva avviato le prove in una sala del Teatro Brancati, quando la morte lo colse improvvisamente il 21 novembre di due anni fa. Lo spettacolo vedrà la luce grazie all'associazione Città Teatro di Orazio Torrisi con la collaborazione di Gianni Salvo: "Alla fine del tempo dell'ulivo" andrà in scena al Piccolo Teatro di Catania sabato alle 21 e in replica il 20 e il 21 novembre prossimi, su progetto scenico e regia di Saro Minardi. "Il tema, o meglio uno dei temi, è il cambiamento e la trasformazione sociale ma, questa volta, la vicenda è immersa in uno scenario mediterraneo a noi molto familiare: la Sicilia - spiega Saro Minardi - intesa non come isola ai piedi dell'Europa ma come piccolo continente intriso di colori e umori che derivano dalle proprie molteplici culture dominanti. E' il momento in cui le classi sociali aristocratiche perdono il loro dominio economico e culturale a vantaggio della nuova, ricca borghesia rurale. Il lassismo e la pigrizia degli uni contrapposti alla sfrenata ambizione e al pragmatismo degli altri. E' un testo ricco di spunti - sottolinea Minardi - che il nostro "Maestro" ci ha lasciato come piccola eredità teatrale su cui poter lavorare per sviluppare dinamiche da palcoscenico che rifiutano l'ovvio e qualsiasi tipo di cliché precostituito". (