Operazione antimafia dei carabinieri
Bagheria, 36 imprenditori dicono "no" al racket: blitz con 22 arresti
Decapitato il racket delle estorsioni nella provincia palermitana: eseguiti 22 provvedimenti cautelari nei confronti di capi e gregari della cupola mafiosa di Bagheria. Gli arrestati sono accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, sequestro di persona e danneggiamento a seguito di incendio. L'operazione è stata denominata "Reset 2". Le indagini hanno evidenziato la "soffocante pressione estorsiva esercitata dai boss che, dal 2003 al 2013, si sono succeduti ai vertici del clan". Una cinquantina le estorsioni documentate grazie alla dettagliata ricostruzione fornita da 36 imprenditori locali che hanno trovato il coraggio, dopo decenni di silenzio, di ribellarsi al giogo del “pizzo”. Lo scenario delle “imposizioni” si presenta estremamente ricco e variegato in quanto, se pur particolarmente attento al settore dell’edilizia, incideva su ogni remunerativa attività economica locale, dai negozi di mobili e di abbigliamento, alle attività all’ingrosso di frutta e di pesce, ai bar, alle sale giochi, ai centri scommesse.
I NOMI DEL BLITZ
Questi i nomi degli arrestati nell'ambito dell'operazione "Reset" contro il racket delle estorsioni. Carmelo Bartolone, di 58 anni; Andrea Fortunato Carbone, di 50; Francesco Centineo di 31; Antonino Gioacchino Di Bella, di 60; Giacinto Di Salvo, detto "Gino", di 72; Nicolò Eucaliptus detto "Nicola", di 75; Giuseppe Pietro Flamia detto "il Porco", di 57; Vicenzo Gagliano; di 51; Silvestre Girgenti detto "Silvio", di 46. Umberto Guagliardo, di 26; Rosario La Mantia, di 51; Salvatore Lauricella, di 39; Pietro Liga, di 49; Francesco Lombardo, di 59; Gioacchino Mineo, detto "Gino", di 63; Onofrio Morreale, di 50; Giuseppe Scaduto, di 69; Giovanni Trapani, di 59; tutti già detenuti. Sono stati inoltre arrestati Giacinto Tutino, di 60 anni; Luigi Di salvo detto "U Sorrentino", di 51, e Francesco Mineo, di 61.
HA PAGATO IL PIZZO PER 20 ANNI
Ha cominciato a pagare in lire (3 milioni al mese) alla "famiglia" mafiosa di Bagheria. Vent'anni di minacce e soprusi a cui un imprenditore bagherese ha deciso di ribellarsi. Per accontentare le richieste dei boss l'uomo è finito sul lastrico e ha dovuto chiudere l'attività. E' una delle storie delle vittime del racket scoperte dai carabinieri di Palermo che hanno eseguito 22 provvedimenti cautelari (la maggior parte dei destinatari erano comunque già detenuti) a carico di capimafia ed estortori dei clan bagheresi. La vittima ha scelto di denunciare dopo anni di silenzio. Con lui altri 35 commercianti e imprenditori: una ribellione che segna una svolta nella lotta a Cosa nostra. L'indagine, coordinata dalla Dda di Palermo, è il seguito di un'altra operazione messa a segno contro le cosche della cittadina alle porte del capoluogo, per anni feudo e rifugio, in latitanza, del padrino di Corleone Bernardo Provenzano. Fondamentali per ricostruire gli assetti del clan le dichiarazioni del pentito Sergio Flamia. Tra le "ordinarie" storie di violenza, scoperte dai carabinieri, anche quella che vede protagonista un funzionario comunale dell'Ufficio tecnico di Bagheria che avrebbe avuto contrasti con la cosca legati alla lottizzazione di alcune aree. Cosa nostra, nel 2004, gli ha incendiato la casa e sequestrato un collaboratore domestico.