Processo Borsellino a Caltanissetta, depongono i poliziotti su Scarantino
"A Firenze ebbi un alterco con Vincenzo Scarantino perché aveva picchiato brutalmente la moglie". A raccontare l'accaduto, rispondendo come teste, è il poliziotto Domenico Militello, in passato membro del gruppo investigativo Falcone Borsellino che indagava sulle stragi di Capaci e via D'Amelio. Il teste ha deposta stamane a Caltanissetta, al processo sul depistaggio della strage di Via D'Amelio costata la vita al giudice Borsellino e alla scorta. Sul banco degli imputati tre poliziotti, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, ex appartenenti del gruppo Falcone-Borsellino. Sono accusati di calunnia aggravata dall'aver favorito Cosa nostra. I tre avrebbero manipolato il falso collaboratore di giustizia, Vincenzo Scarantino per indurlo a dichiarare ai magistrati una falsa verità sulla strage depistando le indagini. "Un giorno mentre eravamo a Firenze - ha continuato Militello - sono andato a prendere la cena per Scarantino. Sono venuti a chiamarci in mensa perché sentivano urla dentro l'abitazione. Una volta dentro trovai Scarantino che aveva dato schiaffi alla moglie perché aveva parlato con un funzionario il quale si era limitato a chiedere se la sistemazione era idonea. Lui, impazzito di gelosia, l'aveva schiaffeggiata. I bambini piangevano e la donna aveva il labbro spaccato. Dopo Scarantino non l'ho più visto". Militello si è soffermato poi, rispondendo alle domande del legale di Bo, su un sopralluogo eseguito dagli inquirenti all'aeroporto di Boccadifalco. "Sono andato direttamente in macchina con Scarantino ammanettato, pioveva, e non ho ricordo del dottore Bo. Non era lì", ha detto.
"A Boccadifalco scendemmo e ci fu chiesto di fare la vigilanza a Scarantino. La Barbera ci disse di non fare domande a Scarantino in merito all'attività investigativa in corso perché c'erano i magistrati che lo dovevano interrogare". E' il racconto di Giacomo Pietro Guttadauro, poliziotto in servizio nel pool di investigatori che indagarono sulle stragi di Capaci e via D'Amelio. Guttadauro, rispondendo alle domande del Pm Stefano Luciani, questa mattina all'udienza per il processo sul depistaggio della Strage di via D'Amelio, ha raccontato alcuni particolari riguardanti la permanenza del falso pentito Vincenzo Scarantino all'aeroporto di Boccadifalco. La tesi dei pm è che gli investigatori imbeccarono Scarantino facendogli dare una falsa versione della fase preparatoria della strage di via d'Amelio. "Io ero tra quelli che stavano all'interno. Trascorremmo la notte io Militello e Scarantino nella stessa stanza. L'indomani - ha raccontato - è salito un collega della vigilanza esterna e ci ha detto di prepararci che c'era il dottore La Barbera sotto. Ci siamo messi in macchina, io ero alla guida, il dottore La Barbera davanti e Scarantino dietro con altri due poliziotti. Siamo partiti da là. Io non sono palermitano e mi davano indicazioni. In parte Scarantino diceva dove andare in parte erano i colleghi a dare indicazioni. Nessuno registrava ma non ricordo se c'era qualcuno che aveva carte o prendeva appunti". "Questo giro a Palermo con Scarantino durò circa 3 o 4 ore. - ha aggiunto - Una volta terminata questa attività siamo rientrati a Boccadifalco tutti sono andati via mentre io e Domenico Militello siamo rimasti a fare vigilanza a Scarantino. Il pomeriggio Scarantino si agitò perché voleva dire qualcosa a La Barbera quindi Militello andò a telefonare. Poi arrivò La Barbera che per mezz'ora, insieme ad un'altra persona, si chiuse con lui a colloquio. Non capii perché era agitato".