Uccisi da un Suv a Vittoria, dopo 3 mesi resta il dolore per i cuginetti D'Antonio
"Sopravviviamo ma non è più vivere. Andiamo avanti ma ora siamo travolti dai ricordi, le abitudini di casa, i bambini che ci aspettavano al nostro rientro dal lavoro, una telefonata che iniziava con 'papà...', le feste in famiglia, le giostre". Lo afferma Alessandro D’Antonio, il padre di Alessio. Tre mesi oggi. Alessio e Simone D’Antonio l’11 luglio scorso sono stati travolti e falciati da un suv mentre stavano sull'uscio di casa a Vittoria (Ragusa). Avevano undici anni: piccoli, cugini, figli di due fratelli Alessandro e Tony che in una famiglia numerosa hanno condiviso passioni e vissuto talmente in simbiosi da essere conosciuti come 'i gemellì. E i loro figli vivevano allo stesso modo, amici, 'migliori amici, come si dice a questa età, sempre insieme anche nella tragedia.
Alessandro ha un milione di cose da raccontare, episodi che tolti dalla quotidianità, adesso, rappresentano i vuoti che nè lui nè il fratello e le loro mogli riescono a riempire. "In questo periodo iniziano le feste, ci sono i camion delle giostre, ad Alessio, ai bambini piacevano tanto. Davanti ai miei occhi c'è Alessio che mi aspetta a casa, o a scuola, che mi racconta la sua giornata e che mi chiede della mia. Avevamo una casa sempre piena, tutti uniti. Ora ho un’altra casa, il cimitero, lì il telefono non prende, siamo soli io e Alessio. Nella casa dove abitavamo con Alessio non ci sono più tornato; un altro fratello, qualche volta va a prendere qualcosa che ci serve. Nè io nè Tony ci siamo più entrati. Troppo dolore".
I ricordi commossi si spezzano con i flashback di quella maledetta notte. "Non si può accettare che due bambini che stavano seduti sul gradino di casa, non sul marciapiede, sul gradino di casa, siano stati ammazzati così. Ho visto, ho perso tutto, abbiamo perso tutto. Alessio mi aveva appena chiamato, 'papà aprimì e io gli stavo aprendo la porta, ero sul balcone e poi ho visto tutto. Sono corso giù, e poi mia moglie e la mia figlia più piccola che ha visto anche lei e non dimentica. Ma il Signore dov'era in quel momento, perchè ha permesso che succedesse?"
Poi ancora i racconti delle persone che hanno conosciuto i due piccoli, sono proprio queste persone che restituiscono una parte di vita dei due bambini alle loro famiglie. "Erano bambini generosi e di cuore. I nostri figli a scuola li chiamavano 'i gigantì perchè erano dei bambinoni, più alti rispetto ai loro coetanei. In classe di Alessio c'era un bimbo disabile e la maestra di sostegno ci racconta che proprio Alessio - ricorda papà Alessandro - se ne prendeva cura, perchè per lui non era un bimbo diverso ma solo un bambino come lui e se la prendeva, se qualcuno lo faceva sentire diverso. Poi una signora che sta non molto distante da casa nostra. Ecco, questa anziana porta sempre i fiori ai bambini, al cimitero. La aiutavano a portare le borse della spesa e anche quando lei voleva dare loro una piccola mancia, loro chiedevano solo un bicchiere di acqua fresca".
La sorellina di Alessio e il fratellino di Simone sono seguiti da un’equipe di psicologi che accompagna anche le loro mamme. "E'tanto difficile, credete. La mia piccola ha due anni, ha un pupazzetto che chiama Minni; è da tre mesi che ripete 'Minni boom, gamba rotta. Ancora non le abbiamo parlato di suo fratello che lei chiamava Lello, tra non molto le faremo vedere le sue foto ma è un percorso lungo e assistito in ogni passo. Anche lei ha visto". Tornano alla mente le frasi di Alessio, l’amore che aveva per la sorellina, ne aveva deciso lui il nome ed ora per Natale le voleva regalare una cucina grande grande perchè voleva giocare assieme a lei. Spesso rinunciava ai suoi giochi e mi diceva 'papà, ne ho avuti tanti prima che nascesse, ora tocca a lei, non ti preoccupare - dice Alessandro che non dimentica mai il nipote, il fratello, la sua grande famiglia allargata -. Simone e Alessio erano due bambini meravigliosi".
"Dalla strage che ha ucciso i nostri figli non è venuto più nessuno" nella nostra attività commerciale, "non abbiamo avuto commesse di lavoro in più e che sia chiaro: non c'è nessuno di noi che abbia nemmeno per un minuto pensato di speculare sui nostri bambini. Se ci aspettavamo aiuto o solidarietà? Non è facile tornare al lavoro, ma andiamo avanti...certo è che non è venuto più nessuno". Lo denuncia all’Agenzia Italia Alessandro D’Antonio, il padre di Alessio. Tre mesi oggi. Alessio e Simone D’Antonio l’11 luglio scorso sono stati travolti e falciati da un suv mentre stavano sull'uscio di casa a Vittoria (Ragusa).
"Le aziende del padre di quell'animale che ha ammazzato i nostri figli sono state sequestrate per cose di mafia e sono commissariate - spiega D’Antonio - hanno degli amministratori che le fanno andare avanti e che ci tolgono lavoro.
L’azienda dei fratelli D’Antonio produce imballaggi per l’agricoltura, come quelle di Elio Greco (padre di Rosario Greco) coinvolto in un processo per associazione mafiosa, con l’accusa di avere creato un cartello per imporre i suoi imballaggi con metodo mafioso. "Sì, ci tolgono il lavoro perchè per mantenere in vita quelle aziende propongono prezzi più bassi dei nostri e mi è capitato di sentirlo proprio io mentre andavo in un’azienda per offrire i miei prodotti. Ma se lei propone a un cliente la cassette a 60 centesimi l’una e loro le propongono a 55 centesimi, secondo lei il cliente che comunque deve curare i suoi affari, da chi le compra? E secondo lei è giusto che queste aziende ancora lavorino? E noi che abbiamo mutui da pagare, oltre a quelli dell’azienda per i macchinari che abbiamo, anche delle case che abbiamo costruito nel 2011, non riusciamo a venirne fuori. E la nostra è un’azienda sana".
"Siamo una famiglia di gente che lavora. Noi siamo sei fratelli e papà faceva il panettiere di notte e quando rientrava andava a fare l’elettricista per mantenerci. Io ho iniziato a lavorare a 11 anni e mi ricordo ancora gli schiaffi di papà che voleva che io studiassi, mi trascinava a scuola...aveva ragione, e oggi lo capisco ma io volevo lavorare". Una famiglia sana, 'che non ha mai avuto regali da nessunO, dice Alessandro. "Lavoro e sacrifici ma a testa alta e onestamente - racconta ancora Alessandro D’Antonio, papà di Alessio, zio di Simone -, trent'anni di lavoro ed ora sono, anzi siamo arrabbiati e delusi".