La querela di Carola Rackete contro Salvini sul tavolo di una Pm di Milano
I pm milanesi che hanno ricevuto dai colleghi romani il fascicolo che vede l'ex ministro Matteo Salvini accusato di diffamazione dopo la querela di Carola Rackete, comandante della Sea Watch3, stanno "valutando" gli atti. Lo si è saputo in Procura. L'indagine è affidata al pm Giancarla Serafini. Non è ancora stato deciso se ascoltare a verbale l'ex ministro, anche se nei fascicoli per diffamazione solitamente non è necessario sentire il querelato in indagini. Serviranno i tempi tecnici per valutare gli atti.
La querela da parte della capitana della Sea Watch era stata depositata lo scorso 12 luglio in Procura di Roma e gli atti, dopo l'iscrizione di Salvini per diffamazione, sono stati poi trasmessi a Milano, dove risiede l'ex ministro, nelle scorse settimane, pare già a fine luglio. Nella denuncia, tra l'altro, i legali di Carola, oltre alla diffamazione, avevano ipotizzato anche il reato di istigazione a delinquere. Rackete, in più, ha chiesto anche ai magistrati il sequestro preventivo dei profili social attraverso cui "risultano pubblicati e diffusi i contenuti diffamatori e istigatori con specifico riferimento alle pagine Facebook e Twitter dell'account ufficiale di Matteo Salvini". Nell'atto di querela la giovane, rappresentata dal legale Alessandro Gamberini, aveva spiegato che le esternazioni di Salvini sul caso Sea Watch, "lungi dall'essere manifestazioni di un legittimo diritto di critica, sono state aggressioni gratuite e diffamatorie alla mia persona con toni minacciosi diretti e indiretti". Nella querela Carola cita le espressioni offensive dell'allora ministro: "sbruffoncella", "fuorilegge", "delinquente", autrice di un atto "criminale", responsabile di un tentato omicidio in quanto "avrei provato a ammazzare cinque militari italiani", "complice dei trafficanti di esseri umani" e altre ancora. Interventi che sono, si legge nella denuncia, "un puro strumento propagandistico e istigatorio di un 'discorso dell'odio', che travolge ogni richiamo alla funzione istituzionale". Affermazioni che "non solo hanno leso gravemente il mio onore e la mia reputazione, ma mettono a rischio la mia incolumità, finendo per istigare il pubblico dei suoi lettori a commettere ulteriori reati nei miei confronti".