Ragusa, processo 'Plastic free' alle ultime battute: chiesti 150 anni per 13 imputati
Il processo scaturito dall'operazione "Plastic Free", messa a segno ad ottobre del 2019 a Vittoria, nel Ragusano, dalla Polizia di Stato (squadra mobile di Ragusa e Catania) e coordinata dalla Dda di Catania e' alle battute conclusive. L'operazione, secondo la tesi dell'accusa, aveva disarticolato un gruppo mafioso riconducibile alla 'stidda'.
A quattordici soggetti, (per uno, posizione stralciata per motivi di salute) veniva contestato il coinvolgimento a vario titolo in una serie di reati: estorsione pluriaggravata, illecita concorrenza con minaccia, lesioni aggravate, ricettazione, detenzione e porto di armi da sparo, danneggiamento in seguito ad incendio, traffico illecito di rifiuti aggravato.
Reati commessi con metodologia mafiosa. Ieri l'accusa, rappresentata dal Pm della Dda Alfio Gabriele Fragala', davanti al Tribunale collegiale di Ragusa (presidente Panebianco, a latere Manenti e Rabini) ha pronunciato la requisitoria che si e' conclusa con le richieste di condanna in primo grado per un totale di 150anni e 9 mesi di carcere.
Fragala' ha avviato la sua analisi delle prove a sostegno delle tesi accusatorie, partendo dalle evidenze della mutazione delle dinamiche operative mafiose tra criminalita' e imprenditoria, oggi sempre piu' evolute in collusioni, connivenze, accordi economici, e che pure mantengono punti fermi e capacita' intimidatoria. Il settore e' quello della filiera e del riciclo della plastica, molto importante in un territorio, quello Ragusano, dove la produzione orticola in serra e' preponderante, ed economicamente e storicamente oggetto di interessi della criminalita'.
Il Pm della Dda ha ricostruito la storia delle persone coinvolte nell'operazione arrivando poi, nelle richieste di condanna, a delinearne i ruoli.
I gruppi che concorrono all'accordo criminale, sono divisi tra imprenditori, personaggi che esercitano la 'forza intimidatrice', e raccoglitori della plastica.
Si inizia dagli imprenditori: Alfio Gabriele Fragala' definisce i rapporti con la mafia di Giovanni Donzelli, imprenditore della SIDI, ditta che opera, appunto, nel settore della plastica, e ebbe fin dall'origine della 'stidda', rapporti con Claudio Carbonaro e Carmelo Dominante per un reciproco vantaggio nella gestione di affari procacciati e gestiti; ne ha delineato la contiguita', resa con la disponibilita' a mettere a disposizione covi per la latitanza ma anche nel riciclo di proventi illeciti, elementi confermati - secondo la lettura di Fragala' - anche nel riscontro delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e di alcune intercettazioni. Il figlio Raffaele Donzelli ha invece precedenti nel settore economico finanziario, per una serie di bancarotte per distrazione, con ditte che vengono definite "SIDI in numerose altre vesti" e con denominazioni diverse. Ci sono poi Claudio Carbonaro e Salvatore D'Agosta oltre ad una terza persona la cui posizione e' stata stralciata per valutare l'effettiva capacita' di partecipare al processo per gravi condizioni di salute. Sono i fondatori della 'stidda', Carbonaro e' uomo d'onore di 'cosa nostra' Palermo.
Nel Vittoriese avvia un clan efferato e a lui sono imputati una cinquantina di omicidi negli anni 80/90 e poi diventa collaboratore di giustizia. Grazie alle sue dichiarazioni negli anni 90-2000 viene smantellata la stidda. Salvatore D'Agosta e' invece un "mammasantissima", esponente di spicco del clan che si contrappose alla stidda dei Carbonaro-Dominante. Saranno loro la forza intimidatrice nell'accordo. Siamo ai raccoglitori della plastica, la famiglia Minardi: Emanuele, Antonino, Salvatore (classe '74), Salvatore (classe '95) e Crocifisso rappresentano un gruppo dedito storicamente alla raccolta della plastica. Del gruppo, solo Emanuele con una vecchia condanna in 'tema mafia'. Queste tre componenti avrebbero concorso nei reati per ottenere reciproci vantaggi.