Il padre di Saman. a processo e il suo avvocato: "Non sà chi ha ucciso la figlia"
Colpo di scena al processo per l'omicidio di Saman a cui partecipa per la prima volta in presenza anche il padre Shabbar, imputato assieme alla moglie Nazia, allo zio Danish e a due cugini. Due detenuti hanno riferito agli inquirenti alcune confidenze ricevute da Danish nel carcere di Reggio Emilia.
Il procuratore capo, Calogero Gaetano Paci, ha spiegato alla Corte di avere depositato un'integrazione alle indagini sulla base di "una segnalazione arrivata dal carcere di Reggio Emilia il 31 agosto scorso circa la volontà di un detenuto di rendere dichiarazioni su alcune confidenze apprese da Danish che riguardano ciò che Danish avrebbe commesso e visto e sulla sua partecipazione in relazione alla soppressione di Saman".
In seguito è stato sentito un altro recluso. I verbali a sommarie informazioni dei carcerati, datati 5 e 6 settembre, sono stati depositati ma al momento non se conosce il contenuto. La Procura, ha aggiunto Paci, ha delegato alle forze dell'ordine nuovi accertamenti "a sostegno" delle dichiarazioni dei detenuti.
Shabbar Abbas è entrato in aula ma alla domanda della presidente della Corte d'Assise, ha detto di non voler essere ripreso dai media.
"Lo avete dipinto come un mostro - ha detto ai cronisti uno dei suoi legale, Simone Servillo - ma è solo un padre a cui hanno ammazzato la figlia che chiede giustizia. Lui è provato dalla carcerazione ma molto tranquillo: non sa assolutamente chi ha ucciso Saman".Secondo l'accusa, che lo vede imputato con la moglie e altri tre familiari, Shabbar avrebbe ucciso la ragazza di 18 anni, il cui corpo è stato trovato un anno e mezzo dopo nelle campagne di Novellara, perché non lei non voleva accettare un matrimonio forzato. "Shabbar dice che i dettami dell'Islam non comportano la possibilità di obbligare la figlia a un matrimonio", è la versione dell'uomo riportata da Servillo.
15 testi da risentire con estradizione padre
Dovranno essere risentiti tutti i testimoni indicati dall'accusa, cioè una quindicina. Lo ha deciso la Corte d'Assise di Reggio Emilia accogliendo l'istanza del padre di Saman.
Di fatto, prima del suo arrivo in Italia una settimana fa, il processo a suo carico era separato (tecnicamente: stralciato) da quello agli altri quattro imputati. Dunque, hanno spiegato i giudici, le testimonianze già rese non possono essere acquisite agli atti del processo 'principale' perché l'imputato 'separato' non ha dato il proprio consenso.
La decisione della Corte comporterà un allungamento dei tempi del processo che, a questo punto, difficilmente arriverà a sentenza entro la fine dell'anno. Dopo la camera di consiglio, i giudici, presieduti da Cristina Beretti, hanno poi ribadito, in risposta alle perplessità manifestate da alcuni legali su opportunità e modalità di sentirlo, che sara chiamato in aula il fratello di Saman, il principale teste dell'accusa.
Una scelta 'obbligata', argomentano i giudici, non solo per la rilevanza del testimone ma anche perche' nel frattempo il ragazzo è cresciuto e presenta "un diverso grado di maturazione" e da due anni a questa parte, si è svolta "una copiosa attività istruttoria".
"È doveroso vagliare la sua attendibilità", secondo i giudici. Quanto alle modalità del suo ascolto, "saranno esplicitate solo al momento dell'audizione" e comunque caratterizzate dalla "cautela" visto il ruolo delicato che il giovane ha nella vicenda.