Migranti, una mediatrice avolese: “Traduco torture e supplizi”
Dalle donne stuprate, agli uomini brutalmente picchiati, passando per i giovani ustionati perché, durante la tratta, costretti a viaggiare accanto ai motori delle imbarcazioni. Sono questi gli scenari che Serena, un’avolese mediatrice culturale, si trova spesso davanti. E noi abbiamo voluto che ci raccontasse la sua esperienza, con l’intento di sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema delicato, quello della tratta dei migranti, che riempie quotidianamente la cronaca locale, nazionale e internazionale con storie davvero molto tristi. Ma è un argomento che al contempo riempie anche i social network con commenti opinabili di gente convinta che "prima vengano gli italiani". Come se davvero, ancora oggi, esistesse una "segregazione razziale”. “Nei Centri in cui lavoro - racconta Serena - è necessaria l’assistenza medica e il mio ruolo di mediatore culturale contribuisce a garantirla meglio, dal momento che elimina la barriera linguistica tra medico e paziente. Il mio, però, è un lavoro che non deve limitarsi meramente alla traduzione, in quanto traduco storie difficili di esseri umani e l’empatia è una caratteristica fondamentale. È proprio da questa, infatti, che è guidato il mio approccio con i migranti”.
“Tra tutte le storie che sino ad oggi ho ascoltato - continua Serena - ce ne sono due che mi sono particolarmente rimaste impresse. La prima è quella di un ragazzo orfano di madre, costretto a fuggire dal proprio Paese d’origine a causa della guerra. Un ragazzo che ha visto la sua casa esplodergli sotto gli occhi. E se fosse solo la casa, pazienza. Ma purtroppo in quella dimora ridotta in macerie da una bomba, c’erano dentro suo padre e la sua sorellina. Il giovane era uscito pochi secondi prima dall’abitazione, ma questa sua “fortuna” d’essere rimasto vivo, in realtà per lui è la sua condanna. La condanna al ricordo di quell’immagine straziante: la sua casa demolita e i corpi dei suoi cari dilaniati. È un trauma che il giovane si porterà dietro per tutta la vita e, mentre ce lo raccontava, lui non provava rabbia, era triste, afflitto e una frase riecheggiava tra le mura del Centro: “Sono rimasto solo al mondo”.”
“Un’altra infausta storia - continua ancora Serena - l’ho vissuta ascoltando il racconto di una ragazza, anche lei orfana di madre, e il cui padre, invece, si era risposato con una donna che la trattava malissimo. Un po’ come in Cenerentola, solo che a lei il destino non ha poi riservato un castello dorato e un matrimonio felice. L’happy ending della Disney, in questo caso, è stata sostituita dalla prostituzione. La giovane infatti, stanca delle continue aggressioni avanzate dalla matrigna, un giorno scappò. Durante la sua fuga incontrò un’altra donna più grande di lei che la rassicurò, offrendole un tetto. Così la vittima si fidò di quella bontà appena trovata, facendo un sospiro di sollievo. Ma in realtà la donna “eroe” la costrinse a prostituirsi per anni. Salvata da un ragazzo dopo svariati supplizi, raggiunse l’Italia, la Sicilia. Quando la ascoltai assieme al medico di turno, era ancora terrorizzata, con gli occhi sbarrati implorava protezione da quella donna che le ha rovinato la vita”.
“Ecco - conclude Serena - col lavoro che faccio ascolto queste atrocità. A chi predica “razzismo” e quasi si ritiene fiero di esser definito tale, voglio ricordare che siamo tutti esseri umani e che è da trogloditi fare ancora differenze per il colore della pelle. Invito voi tutti a mettervi nei panni di questa gente e della crudeltà che vivono prima di dire ‘Non fateli entrare’. Sarebbe bello se la storia avesse insegnato a tutti noi qualcosa. Ma più mi guardo intorno, più mi rendo contro che attraversiamo una fase di regressione morale da non poco conto”.
Cecilia Santoro