Giustizia di prossimità: la ricetta indigesta del ministro Bonafede
L’incontro sulla giustizia di prossimità svoltosi martedì scorso a Roma, a Palazzo Giustiniani, lussuosa pertinenza del Senato, è servito al ministro, Alfonso Bonafede, per illustrare il suo progetto degli “uffici di prossimità”. Nelle intenzioni del titolare del dicastero dovrebbero sostituire anche i trenta tribunali italiani soppressi dalla riforma del 2012 e fornire consulenza agli utenti. Il ministro ne vuole aprire 1.014 in Italia, sistemandoli anche negli ospedali. I soldi necessari arrivano dai fondi europei: sono 36 milioni di euro.
Una iniziativa che, secondo gli addetti dei lavori, è destinata a naufragare. Il funzionamento degli sportelli, infatti, presuppone il coinvolgimento degli ordini forensi. “Senza la collaborazione degli avvocati, volontaria e gratuita – ha affermato durante il vertice romano l’assessore toscano Bugli – il progetto del Ministero rischia di ridursi a poco più di una semplice distribuzione di moduli e istruzioni per il processo civile telematico”.
Gli uffici di prossimità, insomma, ancor prima di nascere, evidenziano una evidente difficoltà operativa e non potranno mai sostituire le sedi giudiziarie soppresse che rappresentavano anche una presenza reale e materiale dello Stato nei territori, tanto da far dire al presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino, che “un Tribunale distaccato poteva anche non rispondere perfettamente ai parametri di efficienza, eppure costituiva un simbolo, un segno di presenza a cui, poi, è subentrato un sentimento di distanza tra cittadino e Stato”.
E a curare la ferita causata dalla riforma della geografia giudiziaria non contribuisce di certo l’atteggiamento del ministro Bonafede che, da mesi, non risponde alle numerose richieste di un incontro avanzate dal Coordinamento nazionale per la giustizia di prossimità, venendo meno alle più elementari regole di correttezza istituzionale.