Cassazione: "Lecita la videosorveglianza in cella del boss Madonia"
Nessuna "compromissione" di diritti: la videosorveglianza nella cella del boss Giuseppe Madonia e' una misura legittima. La Cassazione ha annullato senza rinvio la decisione del tribunale di sorveglianza di Bologna di accogliere il reclamo del detenuto, sottoposto al 41 bis, secondo il quale i suoi diritti erano stati "lesi" dai controlli effettuati dall'amministrazione penitenziaria "tramite videosorveglianza continua" con una "telecamera nella cella di pernottamento con inquadratura verso il locale bagno". I giudici bolognesi avevano osservato che "lo strumento di controllo" non rispondeva ai "necessari requisiti funzionali" per essere ammissibile: si trattava infatti di una "telecamera funzionante a bassa risoluzione e, dunque, con immagini sfocate, diretta verso la sola porta del bagno e una porzione del lavandino": secondo il tribunale di sorveglianza "non era dato comprendere quali gesti, tali da porre in pericolo le esigenze di sicurezza, potessero essere colti dalle inquadrature".
I giudici di piazza Cavour hanno invece accolto il ricorso presentato dal ministero della Giustizia e dal Dap, nel quale si sottolineava che "le modalita' di controllo in questione erano state adottate con ponderazione tenendo conto dell'elevatissimo livello di pericolosita' di Madonia, dovuto alla sua posizione associativa apicale" e per "specifiche ragioni" legate in particolare all'esigenza di "prevenire evasioni e comunicazione fraudolente", attraverso uno "strumento tecnologico non invasivo, per il campo visivo limitato e il fuori fuoco". La prima sezione penale della Suprema Corte, nella sentenza depositata oggi, rileva che il provvedimento del tribunale di sorveglianza "da' atto che le riprese tramite la telecamera di cui trattasi rimangono appositamente circoscritte solo ad un certo punto dei locali, diverso dalla toilette, e, cosi' come predisposte, possono in ogni caso riprodurre soltanto immagini non a fuoco": quindi, "l'attuale attuazione del controllo" oggettivamente "non risulta toccare sotto alcun profilo soglie di umiliazione e di sofferenza tali da potere essere ravvisata una violazione dell'articolo 3" della Convenzione europea dei diritti umani.