Catania, confiscato l'impero dell'editore Mario Ciancio
Sigilli all'impero dell'editore catanese Mario Ciancio. Su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, la Sezione Misure di prevenzione del tribunale etneo ha emesso un "decreto di confisca e di sequestro e contestuale confisca" per un valore di oltre 150 milioni di euro. Colpiti conti correnti, polizze assicurative, 31 societa', quote di partecipazione detenute in ulteriori sette societa' e beni immobili riconducibili all'86enne imprenditore, attivo anche nel campo immobiliare e sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa.
Tra i beni colpiti dal provvedimento, lo storico quotidiano di Catania "La Sicilia", la maggioranza delle quote della "Gazzetta del Mezzogiorno" di Bari e le emittenti televisive "Antenna Sicilia" e "Telecolor". Il Tribunale di Catania ha nominato gli amministratori giudiziari che garantiranno la continuita' operativa delle molteplici societa'.
Una decisione, quella dei giudici, andata al di la' delle richieste della Procura. Decisive le verifiche sul patrimonio di Ciancio, a partire dai fondi che deteneva in Svizzera e intestati a alcune fiduciarie del Liechtenstein e, soprattutto, le valutazioni compiute dalla societa' internazionale di revisione dei bilanci Pwc sulle modifiche patrimoniali avvenute dal 1979 al 2014 ad opera di Ciancio. Un'inchiesta che si affianca al processo per concorso esterno in associazione mafiosa. Dalle conclusioni sull'esame degli oltre 1.500 bilanci sarebbero emerse immissioni di capitali non chiare, fondi non giustificati e sproporzioni fra entrate e uscite. Non ci sta Ciancio: "Questa mattina mi e' stato notificato un provvedimento con cui si dispone la confisca delle mie aziende e di alcuni miei beni. Nell'ambito del procedimento di prevenzione a mio carico ritenevo di avere dimostrato, attraverso i miei tecnici e i miei avvocati, che non ho mai avuto alcun tipo di rapporto con ambienti mafiosi e che il mio patrimonio e' frutto soltanto del lavoro di chi mi ha preceduto e di chi ha collaborato con me". L'editore si dice sicuro che le motivazioni "addotte dal Tribunale per disporre la confisca dei miei beni siano facilmente superabili da argomenti importanti di segno diametralmente opposto, di cui il collegio non ha tenuto conto". E assicura: "I miei avvocati sono gia' al lavoro per predisporre l'impugnazione in Corte di Appello. Sono certo - conclude - che questa vicenda per me tristissima si concludera' con la dovuta affermazione della mia totale estraneita' ai fatti".
Ciancio, l'anno scorso, nell'ambito di un nuovo procedimento era stato rinviato a giudizio per concorso esterno. La procura etnea aveva avviato l'indagine nel 2007, ma nel 2012 ne aveva chiesto l'archiviazione; richiesta bocciata dal gup Luigi Barone che aveva disposto la trasmissione degli atti ai pm per l'imputazione coatta. Successivamente era stato chiesto il rinvio a giudizio dell'editore e in abbreviato Ciancio era stato assolto su sentenza del Gup Bernabo' Distefano nel dicembre del 2015. Una decisione che aveva sollevato parecchie polemiche - con il presidente dell'ufficio gip di Catania Nunzio Sarpietro che aveva preso le distanze dalla sentenza - visto che nelle sue motivazioni Distefano aveva demolito il reato di concorso esterno definito come "una figura che si potrebbe definire quasi idealizzata nell'ambito di un illecito penale cosi grave per la collettivita". Il giudizio del Gup era poi stato ribaltato dalla Cassazione che ha accolto l'appello della procura contro il proscioglimento di Ciancio. Nel 2017 nuovo rinvio a giudizio da parte di un altro Gup: il processo e' iniziato recentemente. Hanno seguito un iter parallelo i provvedimenti che hanno riguardato le misure di prevenzione, iniziate nel 2015 e conclusasi con la decisione di oggi da parte del tribunale. Il provvedimento nei confronti dell'editore "diventi occasione per ribaltare la storia opaca di quel giornale e della sua direzione", sollecita Claudio Fava, presidente della Commissione regionale antimafia", "si affidi la testata ai giornalisti siciliani che in questi anni hanno cercato e raccontato le verita' sulle collusioni e le protezioni del potere mafioso al prezzo della propria emarginazione professionale, del rischio, della solitudine". "Togliere non basta - prosegue il parlamentare - occorre restituire ai siciliani il diritto a un'informazione libera, autonoma, coraggiosa".
La Federazione nazionale della Stampa italiana, l'Associazione siciliana della Stampa, l'Associazione della Stampa di Puglia e l'Associazione della Stampa di Basilicata auspicano che la situazione "venga chiarita e si risolva in tempi brevi e che, nel frattempo, l'attivita' di gestione dei commissari giudiziari nominati per garantire la continuita' delle aziende non pregiudichi l'autonomia delle testate e il regolare svolgimento delle attivita' redazionali, assicurando la piena operativita' anche sotto il profilo del rispetto dei diritti e delle prerogative dei giornalisti e degli altri lavoratori".