Cuffaro all'Ars, gli chiedono selfie: "Ho commesso errori ed ho pagato il conto"
Al termine del convegno sulle carceri a Palazzo dei Normanni, l'ex presidente della Regione Totò Cuffaro è stato accerchiato da molte persone che erano in sala per ascoltare il suo intervento: amici, conoscenti, politici molti dei quali hanno chiesto di poter fare un selfie con lui. "Quando sono entrato in carcere i selfie non sapevo cosa fossero, forse neppure esistevano" dice Cuffaro, sorridendo. "Adesso ogni tanto la gente mi ferma per strada per salutarmi e farsi una foto con me - aggiunge - non ho più un ruolo politico, non ho prebende da elargire, quindi se lo fanno vuol dire che sono sinceri".
"La vita mi ha fatto pagare un conto meritato, ma ha rimesso in ordine i miei valori. Non posso lamentarmi se non mi hanno fatto uscire dal carcere per assistere ai funerali di mio padre, perché quando lui mi chiamava per il suo compleanno io non ci andavo perché avevo aula o giunta, o altro da fare". Totò Cuffaro interviene al convegno sulle carceri nel Palazzo dei Normanni, e racconta i suoi cinque anni passati a Rebibbia scontando la condanna per favoreggiamento aggravato alla mafia. Sulla locandina all'ingresso della sala, sotto al suo nome non c'è scritto "ex Presidente della Regione", ma "ex detenuto". "Quando sono entrato in carcere avevo molti pregiudizi su cosa avrei vissuto lì dentro - dice - Ero convinto di trovarmi in una di quelle scene da film in cui mentre fai la doccia c'è qualcuno pronto a sodomizzarti. Nulla di tutto questo, mi è bastato qualche giorno per capire che la realtà lì dentro è profondamente diversa da come la si immagina da fuori. Ci sono persone vere, è una comunità e per come la vedo io il carcere deve servire a rieducare, non a punire". Cuffaro parla dei problemi di sanità all'interno dei penitenziari ("ho visto persone con il cancro lasciate in cella in attesa per mesi, prima di una cura") dei suicidi ("sono tanti, troppi, all'interno del mondo carcerario e non riguardano solo i detenuti") delle norme chieste da Strasburgo ma "aggirate" in Italia ("le norme per migliorare le condizioni magari ci sono, ma non vengono applicate") e dei suoi anni passati in una cella tre metri per quattro, con altre quattro persone. "Ogni tanto la notte mi sembra ancora di sentire il rumore delle chiavi sulla porta di ferro, e delle grate che sbattevano", dice. "Appena entri dentro la cella e la porta si chiude, ti rendi conto all'improvviso di tutte le piccole cose che ti sono negate da quel momento in poi, anche cose semplici come potere guardare il cielo 'tutto intero' di notte. Io per cinque anni il cielo 'tutto intero' l'ho potuto vedere solo di giorno, e solo per un'ora", racconta. "Il carcere ti porta spesso a vergognarti del giudizio che la gente ha di te, e quella vergogna poi si trasforma in rimorso. Ma lo ripeto, ho commesso errori e la vita mi ha fatto pagare il conto. A me lo ha fatto pagare con il carcere, ad altri - dice - in modi molto più dolorosi".