Le mani della mafia sugli appalti, due arresti a Taormina
Due misure cautelari in carcere nei confronti di Rosario Russo di 25 anni, originario di Castiglione di Sicilia, e Francesco Confalone di 36 originario di Malvagna (ME) ma residente in Germania, sono state effettuate dai carabinieri di Taormina nell'ambito di un'inchiesta sui rapporti tra mafia e appalti.
I due arrestati sono elementi di spicco del clan "Ragaglia-Sangani", affiliato alla consorteria "Laudani" ed egemone nella frazione nord-orientale dell'area sub-etnea. Il provvedimento cautelare e' scaturito da una complessa attivita' d'indagine, convenzionalmente denominata "PORTO FRANCO", svolta dai carabinieri di Taormina attraverso l'utilizzo di intercettazioni telefoniche e ambientali, che hanno permesso di riscontrare un grave quadro indiziario, nel quale i due arrestati emergono come responsabili di tentata estorsione con l'aggravante del metodo mafioso. Le indagini hanno preso origine da una denuncia, sporta nel febbraio 2016 presso la Stazione Carabinieri di Malvagna (Me), dal responsabile di cantiere della societa' di Paterno' (CT) che si era aggiudicata l'appalto pubblico (per un importo di 630.332,36 euro) relativo ai lavori di completamento della circonvallazione del centro abitato di Malvagna (ME). Nella denuncia veniva formalizzato il rinvenimento di una bottiglia di plastica contenente del liquido infiammabile, un accendino e un biglietto recante una frase manoscritta in dialetto siciliano dal chiaro tenore estorsivo "CECCATI U AMICO BUONO DI CUSSA" (letteralmente "CERCATI UN AMICO BUONO DI CORSA"), che era stata attaccata alla maniglia di una macchina escavatrice.
Le indagini, immediatamente avviate, si indirizzavano dapprima su alcuni pregiudicati della circondario e, successivamente si concentravano sulle due persone oggi arrestate i quali, come emerso dalle testimonianze raccolte, erano stati notati mentre si aggiravano, con fare giudicato "sospetto", nei pressi del cantiere che era in fase d'avvio. I Carabinieri della Compagnia di Taormina richiedevano, di concerto con l'Autorita' Giudiziaria competente, l'autorizzazione per eseguire intercettazioni telefoniche ed ambientali; le attivita' tecniche consentivano di accertare inequivocabilmente il coinvolgimento diretto dei due indagati nel tentativo estorsivo e il loro agire finalizzato a costringere le vittime ad accettare il pagamento per la "protezione" criminale. In particolare, dalle conversazioni captate si documentavano in modo minuzioso i vari abboccamenti posti in essere dai due per cercare di vincere le resistenze delle vittime; il tentativo di persuadere le vittime "attraverso la dialettica" era caratterizzato da non comune protervia e spregiudicatezza, peraltro non disdegnando all'occorrenza il ricorso all'uso della forza per ottenere un incontro.
Nonostante le "pressioni" esercitate, gli indagati non riuscivano tuttavia a strappare l'agognato "appuntamento" con la vittima la quale e' sempre rimasta determinata a non cedere alle pretese estorsive. La resistenza incontrata ha indotto gli indagati ad inasprire i toni delle minacce, lasciando presagire un'escalation nella gravita' degli atti intimidatori che avrebbero messo in campo e di cui la bottiglietta corredata dal biglietto minatorio avrebbe costituito solo il punto di partenza. Ma proprio il manoscritto recante le minacce ha costituito l'ulteriore elemento di prova a carico dei i due indagati che ha chiuso il cerchio circa la loro responsabilita'. Infatti ad integrazione del grave quadro indiziario raccolto dai Carabinieri di Taormina sono arrivati gli accertamenti tecnico scientifici svolti dal Reparto Carabinieri Investigazioni Scientifiche di Messina. Le comparazioni grafiche svolte sul manoscritto estorsivo, condotte con perizia e meticolosita' dagli esperti della Sezione di Grafica del RIS, hanno infatti permesso di stabilire con massima precisione che l'autore dello scritto fosse proprio uno dei due arrestati. Relativamente poi all'aggravante del metodo mafioso, il provvedimento cautelare del Giudice ha evidenziato la rilevanza dell'atteggiamento degli indagati che hanno agito in un contesto ambientale "...connotato dalla pervasiva presenza di consorterie criminali aduse ad imporre il giogo estorsivo alle imprese aggiudicatarie di rilevanti commesse pubbliche..." e "conformando il proprio agire a canoni comportamentali ormai tristemente notiricorrendo ad atteggiamenti obliqui ed insinuanti e formalizzando la richiesta attraverso una formula idonea a evocare una modalita' comunicativa tipicamente mafiosa". Dalle risultanze investigative e' emersa, inoltre, una consolidata rete di rapporti con esponenti della criminalita' organizzata mafiosa locale, in particolare con il clan "Ragaglia-Sangani" di Randazzo (CT), facente capo a RAGAGLIA Antonino Salvatore, inteso "Nino", attualmente detenuto.