Il Papa: “Evitare accanimento terapeutico non è eutanasia”
"Non attivare mezzi sproporzionati o sospenderne l'uso, equivale a evitare l'accanimento terapeutico, cioe' compiere un'azione che ha un significato etico completamente diverso dall'eutanasia, che rimane sempre illecita, in quanto si propone di interrompere la vita, procurando la morte". Cosi' Papa Francesco in un messaggio inviato al Meeting Regionale Europeo della World Medical Association sulle questioni del "fine-vita", organizzato in Vaticano. "Oggi - afferma il Pontefice - e' anche possibile protrarre la vita in condizioni che in passato non si potevano neanche immaginare. Gli interventi sul corpo umano diventano sempre piu' efficaci, ma non sempre sono risolutivi: possono sostenere funzioni biologiche divenute insufficienti, o addirittura sostituirle, ma questo non equivale a promuovere la salute. Occorre quindi un supplemento di saggezza, perche' oggi e' piu' insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona". "Papa Pio XII - ha ricordato il Papa - in un memorabile discorso rivolto 60 anni fa adanestesisti e rianimatori, affermo' che non c'e' obbligo di impiegare sempre tutti i mezzi terapeutici potenzialmente disponibili e che, in casi ben determinati, e' lecito astenersene. E' dunque moralmente lecito rinunciare all'applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli, quando il loro impiego non corrisponde a quel criterio etico e umanistico che verra' in seguito definito 'proporzionalita' delle cure'", ha aggiunto citando la dichiarazione sull'eutanasia pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede il 5 maggio 1980. "L'aspetto peculiare di tale criterio e' che prende in considerazione 'il risultato che ci si puo' aspettare, tenuto conto delle condizioni dell'ammalato e delle sue forze fisiche e morali'. Consente quindi di giungere a una decisione che si qualifica moralmente come rinuncia all''accanimento terapeutico'". "E' una scelta che assume responsabilmente il limite della condizione umana mortale, nel momento in cui prende atto di non poterlo piu' contrastare. 'Non si vuole cosi' procurare la morte: si accetta di non poterla impedire', come specifica il Catechismo della Chiesa Cattolica. Questa differenza di prospettiva restituisce umanita' all'accompagnamento del morire, senza aprire giustificazioni alla soppressione del vivere. Vediamo bene, infatti, che non attivare mezzi sproporzionati o sospenderne l'uso, equivale a evitare l'accanimento terapeutico, cioe' compiere un'azione che ha un significato etico completamente diverso dall'eutanasia, che rimane sempre illecita, in quanto si propone di interrompere la vita, procurando la morte". "Certo, quando ci immergiamo nella concretezza delle congiunture drammatiche e nella pratica clinica, i fattori che entrano in gioco sono spesso difficili da valutare", ha sottolineato il Pontefice. Per stabilire se un intervento medico clinicamente appropriato "sia effettivamente proporzionato non e' sufficiente applicare in modo meccanico una regola generale". Occorre, continua il Papa "un attento discernimento, che consideri l'oggetto morale, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti. La dimensione personale e relazionale della vita - e del morire stesso, che e' pur sempre un momento estremo del vivere - deve avere, nella cura e nell'accompagnamento del malato, uno spazio adeguato alla dignita' dell'essere umano. In questo percorso la persona malata riveste il ruolo principale. Lo dice con chiarezza il Catechismo della Chiesa Cattolica - sottolinea il Pontefice -: 'Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacita''. E' anzitutto lui che ha titolo, ovviamente in dialogo con i medici, di valutare i trattamenti che gli vengono proposti e giudicare sulla loro effettiva proporzionalita' nella situazione concreta, rendendone doverosa la rinuncia qualora tale proporzionalita' fosse riconosciuta mancante. E' una valutazione non facile nell'odierna attivita' medica, in cui la relazione terapeutica si fa sempre piu' frammentata e l'atto medico deve assumere molteplici mediazioni, richieste dal contesto tecnologico e organizzativo".