Padre del dottorando suicida a Palermo: "Ucciso dal sistema"
"Sono anni che grido contro il marciume che alligna nei nostri atenei, sono anni che scrivo a ministri, capi di governo, papi, 'imperatori del libero pensiero' e loro lacche' in livrea, per raccontare la storia di mio figlio, di tutti i Norman d'Italia. Sono anni che ricevo silenzi assordanti da parte delle istituzioni (regionali, nazionali ed europee), o delle lettere rituali - i 'coccodrilli' del sistema - che sono la summa di tutte le supercazzole possibili, quando, diversamente, lo Stato - nel quale continuo a credere, come ci credeva Norman - non ha mai avviato indagini serie, ha preferito l'oblio della memoria a una risposta concreta sul purtroppo collaudato meccanismo delle cortesie incrociate fra baroni universitari". Lo dice il giornalista Claudio Zarcone, padre di Norman, il dottorando di ricerca in Filosofia, al suo terzo e ultimo anno di dottorato (senza borsa) dopo due lauree con lode, che nel settembre 2010 si lancio' dal settimo piano della facolta' di Lettere a Palermo, denunciando le 'baronie' universitarie, i trucchi e le chiusure del sistema, l'assenza di futuro. "Troppe commistioni fra rettori e politica - prosegue - fra docenti e politica, fra baroni e centri di potere statuali; troppi colletti bianchi in lizza per uno scanno di Palazzo. La chiamata alle armi tra i componenti della commissione giudicante, a Firenze, come a Bari, Roma, Foggia, Palermo, non e' invenzione odierna, e' semmai il metodo mafioso fondato su appartenenza, vincolo associativo, intimidazione e omerta' (concetti del 416 bis, non miei) col quale si reclutano i professori nell'italico suolo. Norman, cosa si era inventato quando con un 'messaggio del corpo' - il suo corpo maciullato sull'asfalto di Lettere - decise di gridare il proprio sdegno, la propria umiliazione di studioso serio e appassionato? Io scrivero', gridero' sempre 'mafiosi!', poi potrete anche prendervi il mio, di corpo, l'anima ve la siete gia' fottuta...".