Pavia, madri 'in affitto' e matrimoni sospetti: chiesti 3 rinvii a giudizio
Madre 'in affitto': tre richieste di rinvio a giudizio per alterazione di stato civile di un neonato. Le indagini della polizia di Stato di Pavia partite a gennaio dello scorso anno dopo la segnalazione di un matrimonio 'sospetto'. Un avvocato pavese, da anni stabilmente convivente con il compagno, cittadino albanese, avrebbe fatto arrivare in Italia una giovane ragazza albanese, gia' in avanzato stato di gravidanza, e l'avrebbe sposata in tutta fretta, assumendo falsamente la paternita' del nascituro, nato pochi giorni dopo le nozze celebrate in comune.
Dopo il parto, i genitori biologici - il vero padre del bambino altri non era che il fratello del compagno dell'imputato - sarebbero dovuti 'uscire di scena' per fare ritorno nel loro Paese d'origine, con la promessa di ricevere regolarmente 'aiuti economici'.
Ad avvertire la polizia e far scattare le indagini della Digos della questura di Pisa, una segnalazione confidenziale su un matrimonio che aveva fatto troppo rumore in un piccolo comune del pavese, perche' celebrato in fretta e furia e soprattutto perche' il marito era risaputo convivere stabilmente con il fidanzato da ormai diversi anni (la loro storia d'amore aveva avuto ampio risalto, qualche anno fa, sulla stampa locale). I sospetti hanno trovato i primi riscontri a seguito delle dichiarazioni del personale sanitario che aveva seguito la donna, che poco dopo il parto aveva fatto rientro nel suo paese unitamente al padre naturale del bambino, lasciando quest'ultimo in casa dei due conviventi.
Anche dal monitoraggio dei social network emergevano, secondo gli investigatori, alcune stranezze, dal momento che sul profilo dell'avvocato (profilo che questi aveva in comune con il fidanzato, essendovi entrambi i nomi) risultavano essere state postate diverse fotografie del neonato, alcune in culla e altre veniva tenuto in braccio dai due fidanzati, mentre non vi era alcuna fotografia ritraente la madre del bambino.
Via via che il cerchio delle indagini si stringeva, il 'marito' faceva rientrare in Italia la giovane ragazza albanese, al fine di dissipare davanti alla polizia ogni dubbio sulla bonta' del loro rapporto. Ma la convivenza forzata, in un unico appartamento, dei 'coniugi' con i reali rispettivi fidanzati nonche' con i genitori dell'imputato, complice anche la mancata corresponsione degli aiuti economici pattuiti, ha generato continui litigi ed ha costretto la giovane albanese a scappare con il suo fidanzato e confessare tutta la storia ai poliziotti. Gli agenti, ricostruita l'intera vicenda, hanno accertato anche le dazioni di denaro, inviato in Albania per un totale di circa 5mila euro (la donna raccontera' che la cifra complessiva pattuita si aggirava sui 70mila euro totali). La coppia ha confermato le medesime dichiarazioni davanti al pm e dalle sue rivelazioni, in particolare e' emerso un quadro familiare privo di alcun punto di riferimento certo per il neonato, che veniva fatto addormentare alcune sere in stanza con i veri genitori e altre assieme all'Avvocato e al fidanzato. I sospetti hanno trovato riscontro definitivo nel test del Dna, disposto dall'autorita' giudiziaria dopo la confessione dei genitori biologici; per la madre, per il falso padre e per il suo compagno e' scattata la richiesta di rinvio a giudizio per alterazione di stato in concorso. Il bimbo e' stato immediatamente allontanato dall'abitazione su disposizione del Tribunale dei Minorenni e collocato in una struttura protetta unitamente alla madre, dove si trova tuttora.