Cucchi, Pm contesta omicidio preterintenzionale a 3 carabinieri
A otto anni dalla morte di Stefano Cucchi, il geometra di 32 anni deceduto il 22 ottobre del 2009 all'ospedale Pertini, sei giorni dopo essere finito in manette per droga, la Procura di Roma chiude la cosiddetta inchiesta-bis contestando il reato di omicidio preteritenzionale a tre dei carabinieri che lo arrestarono. A questi tre militari, per lungo tempo indagati per lesioni personali, si aggiungono anche altri due che devono rispondere del reato di calunnia (rispetto all'originaria ipotesi di falsa testimonianza) e di falso nel verbale di arresto.
Secondo quanto concluso dal pm Giovanni Musaro' e dal Procuratore Giuseppe Pignatone, di omicidio preterintenzionale devono rispondere i carabinieri Alessio Di Bernardo, Raffaele D'Alessandro e Francesco Tedesco. A loro e' attribuito il pestaggio di Cucchi "con schiaffi, calci e pugni", provocando con "una rovinosa caduta con impatto al suolo della regione sacrale" lesioni guaribili in almeno 180 giorni e in parte esiti permanenti, che poi hanno portato alla morte. Falso e calunnia sono contestati a Tedesco e il maresciallo Roberto Mandolini (che comandava la stazione Appia dove nella notte tra il 15 e il 16 ottobre del 2009 venne fatto l'arresto) e, solo per il secondo reato, al carabiniere Vincenzo Nicolardi.
Il reato di falso in atto pubblico e' legato al verbale di arresto in cui si "attestava falsamente" che Cucchi era stato identificato attraverso le impronte digitali e il fotosegnalamento: circostanza che per i magistrati non e' vera ma ha rappresentato la ragione del pestaggio di Cucchi, ritenuto "non collaborativo all'operazione". Mandolini e Tedesco, poi, non avrebbero verbalizzato la resistenza opposta dal geometra nella stazione dei carabinieri dove venne portato per il fotosegnalamento, e avrebbero "attestato falsamente" che Cucchi non aveva voluto nominare un difensore di fiducia. La calunnia, invece, e' legata alla varie testimonianze rese al processo svoltosi in corte d'assise dove erano imputati tre agenti della polizia penitenziaria, poi assolti con sentenza definitiva: Tedesco Mandolini e Nicolardi, "affermando il falso in merito a quanto accaduto nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009" li accusavano implicitamente, pur "sapendoli innocenti", delle botte inflitte al detenuto.