Estradato dal Sudan
Tratta dei migranti, accolta tesi della Procura di Palermo: eritreo resta in cella
Resta in carcere l'eritreo arrestato in Sudan il 24 maggio ed estradato in Italia il 26 giugno con l'accusa di essere tra i capi di una delle organizzazioni che gestiscono la tratta di migranti tra l'Africa e le coste siciliane. Per il gip, che ha respinto la richiesta di scarcerazione della difesa dell'africano, che nega di essere il trafficante ricercato, a carico dell'uomo ci sono "plurimi elementi indiziari".
Alla richiesta di scarcerazione dell'eritreo si è opposta la Procura di Palermo che ieri ha depositato una memoria in cui sono stati esposti tutti gli elementi a carico dell'uomo. L'indagine è coordinata dal procuratore Francesco Lo Voi, dall'aggiunto Maurizio Scalia e dai pm Gery Ferrara e Claudio Camilleri. Dopo il trasferimento in Italia dell'africano, che ha detto di chiamarsi con un nome diverso da quello attribuito dagli inquirenti al trafficante ricercato, sull'identità dell'estradato è nato un vero e proprio giallo. Con il detenuto che si diceva estraneo alle accuse e alcuni amici e familiari pronti a descriverlo come un profugo in attesa di affrontare il "viaggio della speranza" verso l'Italia. Ma per il gip, che ha accolto la tesi della Procura, allo stato quello che dice Mered Tesfamariam, così l'arrestato sostiene di chiamarsi, è indimostrabile. Insomma le ragioni prospettate dalla difesa poggerebbero solo sulle dichiarazioni dell'eritreo e dei suoi amici. "Mentre - scrive il gip richiamandosi alla memoria dei pm - ci sono elementi chiari e plurimi a suo carico". Il giudice, oltre alla valutazione nel merito dell'istanza di scarcerazione, ha esaminato e respinto anche la presunta violazione del diritto di difesa prospettata dal legale, l'avvocato Michele Calantropo. Il penalista aveva eccepito che l'ordinanza di custodia cautelare in carcere notificata all'eritreo non era stata a lui tradotta in tigrino, la sua lingua. La Procura ha invece sostenuto che non solo il contenuto del provvedimento gli era stato spiegato da un interprete in tigrino durante l'interrogatorio a Rebibbia, ma che gli era stato tradotto in inglese, lingua correntemente parlata in Sudan dove l'uomo è stato arrestato e viveva. L'italiano, inoltre, hanno fatto notare i pm, è diffusamente parlato in Eritrea, Paese d'origine dell'indagato.