La mafia non c'entra nell'agguato
Duplice omicidio a Palermo, fermati coniugi insospettabili
Tutto si è compiuto in un minuto e 40 secondi. Tanto, raccontano le immagini di una telecamera, avrebbero impiegato Carlo Gregoli, impiegato comunale incensurato, e la moglie, Adele Velardo, a freddare con una scarica di colpi Vincenzo Bontà e Giuseppe Vela, trucidati a colpi di calibro 9, ieri, in pieno giorno, a Palermo. A inchiodare la coppia di insospettabili che tanto ricordano Olindo e Rosa Bazzi, autori della terribile strage di Erba, sono le immagini di una fotocamera e, soprattutto, il racconto di un testimone oculare. Un ignaro passante che ha prima udito le esplosioni, poi dallo specchietto retrovisore dell'auto su cui viaggiava ha assistito alla fase finale del delitto: quella in cui Gregoli avrebbe sparato alla nuca a Bontà, già ferito e inerme a terra. Un'esecuzione vera e propria che, insieme al nome della vittima, figlio di un capomafia e genero dello storico boss Giovanni Bontate, aveva fatto pensare a un omicidio di mafia e prefigurare un'imminente guerra tra clan. Nulla di tutto questo, a quanto pare. Cosa nostra non avrebbe alcun ruolo nel duplice assassinio che, però ancora non ha un movente. Gregoli e la moglie, lui geometra al Comune, lei casalinga, entrambi tiratori esperti con una passione per le armi - avevano due calibro 9 con regolare permesso, sono stati fermati la notte scorsa al termine di un lunghissimo interrogatorio. Non hanno ammesso nulla. Anzi. "Sono tutte farneticazioni", ha detto l'uomo ai pm che gli contestavano le dichiarazioni del testimone. Ma per la Procura - l'inchiesta è coordinata dal procuratore Francesco Lo Voi e dai pm Claudio Camilleri e Sergio Demontis - gli indizi a carico di entrambi sarebbero gravi. Nel provvedimento di fermo, che ora dovrà essere convalidato dal gip, i magistrati parlano di "animo subdolo e propensione a delinquere degli indagati" che potrebbero inquinare le prove e tentare di intimidire eventuali altri testimoni. Come l'uomo che ha assistito al delitto. Passava di là in auto, ha sentito i colpi, è tornato indietro, ha accostato in uno slargo e dallo specchietto ha visto il killer che sparava alla nuca a Bontà. "I due erano distanti l'uno dall'altro circa tre metri. L'uomo attinto dai colpi di arma cadeva a terra e l'uomo armato, avvicinatosi, sparava altri colpi all'indirizzo del soggetto esanime", ha raccontato alla polizia, descrivendo l'autore dell'omicidio la cui corporatura e i cui abiti corrisponderebbero con quelli di Gregoli. Ma per gli investigatori a fare fuoco sarebbe stata pure la donna. La fotocamera piazzata poco distante dal luogo del delitto è un'altra prova contro la coppia. Li riprende uscire dalla stradina di casa in auto - i loro terreni confinavano con quelli di Bontà - e allontanarsi per poi tornare dietro la macchina delle vittime. A un certo punto le due vetture spariscono dalla visuale della telecamera. Che torna a riprendere il Suv di Gregoli mentre torna a casa a marcia indietro. E in un fotogramma si vede chiaramente la Velardo mimare il gesto dello sparo. I due coniugi raccontano versione diverse sui loro spostamenti. Si sarebbero avviati per via Falsomiele e poi sarebbero rincasati per un malore della moglie, dice lui. "Siamo tornati indietro perché avevo scordato i soldi", racconta lei. Ma entrambi negano tutto e sostengono di non avere visto l'auto di Bontà - "era parente di un nostro parente, lo conoscevamo appena", spiegano - e di avere udito i colpi. Al puzzle quasi completamente ricostruito dagli inquirenti, manca però un tassello importante: il movente. Alcuni vicini parlano di una vecchia lite tra Gregoli e Bontà, ma tutto è ancora da capire. Di certo c'è che l'insospettabile geometra, che era in malattia e non andava al lavoro da giorni, era in cura da uno psichiatra.