Depistaggio Borsellino, il Pg di Caltanissetta: strano rapporto Sisde - Pm
"Il primo episodio singolare, ma anche inquietante", sul depistaggio sulla strage di via D'Amelio in cui furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta, "riguarda la collaborazione tra la Procura di Caltanissetta e il Sisde, nella persona di Bruno Contrada". "Un rapporto di collaborazione che viene avviato all'indomani su iniziativa dell'allora Procuratore Giovanni Tinebra". Inizia on queste parole la requisitoria della Procura generale di Caltanissetta nel processo d'appello sul depistaggio sulle indagini sulla strage del 19 luglio 1992. Sul banco degli imputati tre poliziotti che indagarono sulla strage agli ordini dell'ex Dirigente della Squadra mobile Arnaldo La Barbera, deceduto nel 2002. Si tratta di Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Sono accusati di concorso in calunnia, aggravata dall'avere agevolato Cosa nostra, per aver spinto Scarantino, Salvatore Candura e Francesco Andriotta, a dichiarare il falso sulla strage, autoaccusandosi e indicando come colpevoli altre 7 persone. In primo grado la caduta dell'aggravante mafiosa ha fatto scattare la prescrizione per i primi due mentre Ribaudo è stato assolto perché il fatto non costituisce reato. "Bruno Contrada, sentito nel processo, dice che motivava questa collaborazione tra Procura e Sisde - dice il pm Maurizio Bonaccorso, che è stato applicato alla Procura generale per il processo d'appello - per il fatto che la Squadra mobile di Caltanissetta non aveva una conoscenza approfondita delle famiglie mafiose di Palermo. Quando, invece, le indagini le conduceva la Squadra mobile di Caltanissetta".
"Cosa ha portato il Sisde rispetto all'accertamento dei fatti per accertare le responsabilità sulla strage di D'Amelio? Nulla. Da un punto di vista di accertamento dei fatti, così come si sono svolti". Così il pm Maurizio Bonaccorso, proseguendo la requisitoria nel processo d'appello sil depistaggio sulla strage di via D'Amelio, iniziata oggi davanti alla Corte d'Appello di Caltanissetta presieduta da Giovambattista Tona. Poi il magistrato, in aula ci sono anche i sostituti procuratori generali Antonino Patti e Gaetano Bono, ricorda quanto riferito 15 dicembre 2021 al processo Borsellino quater dall'ex pm Antonio Ingroia. "Riferisce che il giorno dopo la strage di via D'Amelio, il 20 luglio 1992, incontrò l'allora Procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra. Durante la veglia i colleghi Ignazio De Francisci e Teresa Principato raccontarono a Ingroia delle confidenza che Borsellino gli aveva fato e ciè che aveva sentito pochi giorni prima il collaboratore Gaspare Mutolo e lui aveva fatto il nome di due soggetti collusi: Domenico Signorino (pm di Palermo che si suicidò poco dopo ndr) e Bruno Contrada", l'ex funzionario del Sisde che in quel periodo guidava i Servizi a Palermo. "Questa circostanza viene detta da Ingroia a Tinebra il 20 luglio 1992 - dice il pm Bonaccorso - E nonostante il 20 luglio ci sia questa informazione allarmata, Tinebra prosegue questa collaborazione tra la sua Procura e il Sisde".
Il rapporto tra la Procura di Caltanissetta e il Sisde, subito dopo la strage di Via D'Amrlio, "era vietato dalla legge", "inquietante alla luce delle dichiarazioni che ha fatto Antonio Ingroia", e "non produce nessun utile elemento per l'accertamento della verità né è una tessera del mosaico delle stragi". A dirlo è il pm di Caltanissetta Maurizio Bonaccorso, nel corso della requisitoria del processo sul depistaggio sulla strage di via D'Amelio a Caltanissetta. Alla sbarra tre poliziotti: Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Sono accusati di concorso in calunnia, aggravata dall'avere agevolato Cosa nostra, per aver spinto Scarantino, Salvatore Candura e Francesco Andriotta, a dichiarare il falso sulla strage, autoaccusandosi e indicando come colpevoli altre 7 persone. In primo grado la caduta dell'aggravante mafiosa ha fatto scattare la prescrizione per i primi due mentre Ribaudo è stato assolto perché il fatto non costituisce reato. Il giorno dopo la strage di via D'Amelio, l'allora procuratore capo di Caltanissetta, Gianni Tinebra, chiamò l'allora capo dei servizi segreti Bruno Contrada per chiedergli di ''dare una mano alle indagini sul botto'' che uccise Paolo Borsellino e cinque uomini della scorta. A raccontarlo in aula era stato nel 2019, al processo di primo grado per il depistaggio sulle indagini sulla strage, lo stesso Contrada, che fu sentito dalla procura come teste assistito da un legale. ''Ho avuto una conversazione con il procuratore di Caltanissetta Tinebra il 20 luglio 1992 - aveva detto Contrada - lui mi chiese di contribuire alle indagini, ma tra le varie cose che gli prospettai e le varie obiezioni che avevo fatto alla sua richiesta di collaborare alle indagini, la cosa principale era che non ero più nella polizia giudiziaria. Avevo anche obiettato che non avrei intrapreso nessuna attività sul piano informativo, perché quello era il mio compito, se non d'intesa con gli organi di polizia giudiziaria interessati, sia della Polizia che dei Carabinieri''. A fare da tramite tra il procuratore e il numero tre dei servizi fu l'allora capo della polizia Vincenzo Parisi. ''L'incontro con Tinebra fu il giorno dopo la strage e non dopo mesi - disse ancora Contrada - È chiaro che era una vicenda complicata e serviva un'indagine a largo respiro''.
"La Squadra mobile di Palermo quando si rapportò a Salvatore Candura ha la certezza che questo soggetto non c'entrava nulla con il furto della Fiat 126 usata per la strage di via D'Amelio". A dirlo è il pm Maurizio Bonaccorso proseguendo la requisitoria del processo d'appello sul depistaggio sulla strage di via D'Amelio che vede alla sbarra tre poliziotti: Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, accusati di concorso in calunnia aggravata. In primo grado è subentrata la prescrizione per Bo e Mattei mentre Ribaudo è stato assolto. "Dobbiamo valutare le dichiarazioni di Candura tenendo conto delle risultanze investigative", dice ancora Bonaccorso. E si chiede: "Perché un uomo arrestato per violenza sessuale poi si autoaccusa di avere avuto un ruolo nella strage?". E parlando dei tre imputati dice: "Ricordiamoci che sono gli stessi poliziotti che per anni hanno negato che c'era il telefono a casa di Vincenzo Scafantino a San Bartolomeo al Mare". "Al 5 settembre del 1992 c'è un solo dato di cui dispone la Squadra mobile -dice il pm applicato alla Procura generale - ed è la conversazione di Pietrina Valenti con la cognata, cioè il nulla". Candura, dopo l'arresto per violenza sessuale, aveva mentito raccontando di essere stato lui a rubare la Fiat 126 poi imbottita di esplosivo ed utilizzata per compiere la strage di via D'Amelio, in cui il 19 luglio 1992 morirono il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. Una delle bugie sulle quali era stato costruito "uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana", come lo ha definito la Corte d'assise di Caltanissetta, impedendo l'accertamento pieno della verità. Salvatore Candura, 62 anni, confessando il furto mai commesso aveva patteggiato la pena nel 1994, era stato poi inevitabilmente assolto nel 2017 dopo la sentenza di revisione del processo sulla strage. E, a dispetto di tutto, ha pure chiesto un indennizzo allo Stato per l'errore giudiziario di cui si ritiene vittima. Un'istanza rigettata dalla Cassazione.